, altro che Vado al Massimo. Qualcuno di voi sarà portato a pensare che sia questo il titolo giusto per questa rubrica. E, in parte, non senza ragione. Però, converrete che non è colpa mia se mi tocca scrivere di sport in un periodo come questo, dove la crisi economica si assomma sempre più drammaticamente ad una crisi “umana” che sembra inarrestabile. Le recenti vicende del calcio italiano, sempre più sbandato, incurante delle evidenze e dell’inadeguatezza di chi lo governa, perfino della necessità di tirare la cinghia e di ogni elementare senso sportivo non possono che costringere uno come il sottoscritto a rivolgersi con nostalgia e rimpianto ai tempi dove lo sport era lo sport, la sconfitta era la sconfitta, la fortuna era fortuna e perfino le cose “deprecabili” – liti, biscotti, rivalità e addirittura scazzottate – infinitamente più genuine e ruspanti dello squallore etico e del piattume mentale di oggi. Bene, direte voi: se dovevo sentire l’ennesimo pistolotto/parere su Lotito, Tavecchio, Ghirardi e compagnia cantante non mi sarei messo a leggere una rubrica che parla di Formula Uno. Vero, ed in effetti non ho intenzione di aggiungere altro su questo argomento, sul quale peraltro ci siamo già italianamente sfiancati abbastanza. Resto sul mio campo e parlo di motori. Recentemente è uscito un corsivo di Pino Allievi che disegnava la situazione attuale della Formula Uno, alle prese con una crisi finanziaria e di popolarità che raramente ha vissuto nella sua storia e che forse in Italia percepiamo solo parzialmente, edulcorata dalla nostra atavica passione per la Ferrari e per le sue vicende che, dalle nostre parti, catalizza l’attenzione sulla sua effettiva competitività più che sul deserto che la circonda. Ma ad un mese dall’avvio del Mondiale sul tradizionale circuito di Melbourne, il quadro non è certo idilliaco: il parco dei partenti è ridotto all’osso, come non si vedeva dalla metà degli anni ’60 e, sparite definitivamente Caterham e (al 99%) Marussia, delle diciotto macchine rimaste sull’asfalto ce ne sono almeno quattro, Force India e Sauber, che non hanno idea se arriveranno a fine stagione, stritolate da costi enormi, dallo strapotere delle “grandi marche” e dall’assurdità di certi regolamenti. Come se non bastasse, gli sponsor scappano e le televisioni giocano al ribasso. Ed i soldi che circolano sono sempre di meno. Insomma, una crisi senza precedenti. Orbene, vedete qualche parallelo fra lo stato del calcio italiano e quello della Formula Uno Mondiale? Io molti. E molto istruttivi. Primo fra tutti: l’evidenza di una situazione non sostenibile dal punto di vista del “governo” sportivo, dei regolamenti e delle scelte manageriali e l’assoluta mancanza di volontà da parte dei soggetti che le definiscono di cambiare qualcosa, con l’unico obiettivo di salvaguardare il proprio potere. Lanciando così la macchina in corsa e disinteressandosi allegramente del progressivo avvicinarsi dell’inevitabile muro. Da dove nasce la crisi?
Dalla mancanza di risorse economiche? Forse, ma se così fosse l’automobilismo sportivo avrebbe dovuto, per fare un esempio, chiudere i battenti dopo lo shock petrolifero del 1973 ed invece visse proprio in quel periodo la sua epoca più fulgida, creativa e popolare. E nel dopoguerra il calcio in Italia aveva forse meno seguito e risonanza a causa delle ristrettezze del primo periodo post-bellico? Ed il calcio spagnolo di oggi non dovrebbe risentire della medesima crisi? No, la crisi economica non spiega tutto. Anzi, è spesso usata come alibi. Il vero problema è quello di chi ha barattato lo sport con il (proprio) business e agisce di conseguenza. In questo senso Ecclestone e Lotito sono due facce della stessa medaglia. Non capendo, con miopia quasi surreale, una verità molto semplice: il“business”, l’interesse del pubblico e di conseguenza, degli investitori, lo “spettacolo” sono tali in quanto conseguenza dell’“evento sportivo” e non viceversa. E’ lo sport, nel senso più puro di questo termine, che traina interessi, passioni, emozioni, voglia di “vedere” e di “raccontare”. I campioni, gli eventi, lo scontro, la sconfitta, l’incertezza, la tecnica, la sorpresa, l’imprevisto, la tenacia, la sfida: sono queste sensazioni, che per certi versi solo lo sport trasmette con un linguaggio universale e potente, a trascinare il pubblico. E, in fin dei conti, a portare i soldi. Già, ma siamo nel ventunesimo secolo e queste cose le pensa solo un nostalgico retrogrado come me. Nostalgia Canaglia…