Arrivò in Ferrari nel 2007, con lo scomodissimo incarico di far dimenticare l’indimenticabile, ovvero Michael Schumacher, indiscusso recordman in qualunque tipo di graduatoria fra i piloti della storia del Cavallino, che aveva appeso il casco al chiodo dopo dieci anni di trionfi con la Rossa. Arrivò in punta di piedi. O meglio, arrivò con un pesante contratto dovuto alle nove vittorie – sette nello strepitoso 2005 anno in cui fu il rivale n°1 di Fernando Alonso nella conquista del suo primo Titolo Mondiale – conseguite con la McLaren che lo avevano posto nel novero dei top driver. Ma in quell’inverno del primo addio di Schumi, varcò i cancelli di Maranello fra lo scetticismo generale.

Sarà stato per il suo carattere non certo espansivo, per quell’espressione enigmatica di fronte a qualunque situazione della vita gli passi davanti che ad un italiano doveva sembrare quasi disinteresse o per il fatto che i tifosi del Cavallino erano un po’ sotto shock per la rivoluzione cui avevano appena assistito. Ebbene, Kimi Raikkonen, quell’anno, vinse subito il Titolo Mondiale. Una roba mica da tutti. Prima di lui era riuscito nell’impresa di centrare l’iride al primo anno in Ferrari solo Jody Scheckter nel 1979. Non ci erano riusciti né, in tempi remoti, il grande Alberto Ascari che attese due stagioni, né Mike Hawthorn, né John Surtees che vinse dopo un anno, né Niki Lauda o lo stesso grande Michael che di Mondiali all’asciutto prima di trionfare ne visse addirittura quattro. Curiosamente un’altra analogia accomunò Kimi ed il leggendario “Little Bear”, amico fraterno di Gilles Villeneuve nonostante il suo carattere chiuso e riservato opposto a quello istrionico – per usare un eufemismo – del canadese. Anche il finlandese, esattamente come Jody, dopo quel clamoroso ed in parte inatteso trionfo, perse gli stimoli, faticò a continuare e, in capo a due stagioni sbiadite, si ritirò. Come Scheckter. Così, quando tornò alle corse nel 2012 con la Lotus dopo tre anni “sabbatici” passati a collezionare sconfitte nei rally e nel DTM tedesco, non molti erano pronti a scommettere sulla sua resurrezione agonistica. Ed invece, Kimi riportò sul gradino più alto del podio in un Gran Premio la ex-grande Lotus che non conquistava una vittoria dal 21 giugno 1987. Per la cronaca, pista di Detroit e pilota Ayrton Senna. Iceman era ritornato fra i grandi del volante e si guadagnò così un nuovo ingaggio alla Ferrari per la stagione 2014 al fianco del suo grande ex-rivale Fernando Alonso. E questa volta intorno alle scelte di Maranello, il dibattito girava soprattutto intorno al dubbio se “due galli nel pollaio” fossero la coppia giusta, in vista di una stagione che ci si aspettava di duello serrato con la Red Bull e gli altri avversari. Come è finito invece il 2014, è storia nota. Kimi sprofondato di nuovo nella sua “depressione” tecnico-agonistica, ombra di sé stesso ed alle prese con una matassa che la scarsa competitività della vettura e la confusione gestionale della Ferrari non lo hanno aiutato a sbrogliare. Tanto da meritarsi critiche piuttosto dure, anche da parte di chi sta scrivendo ora. E poi ecco il ribaltone-Marchionne. Forse il tragico e beffardo destino di Jules Bianchi, a mio parere suo erede designato in Ferrari per questa stagione, ha forse, come spesso accade nelle corse, segnato una sliding door nel destino di Kimi, ma alzi la mani chi fra appassionati ed addetti ai lavori avrebbe giocato un centesimo sulla sua “seconda resurrezione”. Ed invece eccolo di nuovo sul podio

Secondo dopo una gara di sostanza fatta di tenacia, strategia e sapiente dosaggio delle gomme, dote che è sempre stata una delle sue armi migliori. Il week-end di Sakhir ci ha dunque restituito un campione che, è vero, aveva già dato segni di risveglio, ma che ieri nel pressare Nico Rosberg portandolo all’errore e nel braccare Hamilton – con ancora un paio di giri lo avrebbe preso – è tornato quel pilota del 2007 che approfittò con scaltrezza e sagacia del duello fratricidaHamilton-Alonso in McLaren. Per una volta, dunque, lasciateci celebrare lui, la “seconda guida” e non il comunque grande Seb Vettel che, stavolta, ha sbagliato di brutto ma come vuole il suo stile schietto che abbiamo imparato a conoscere, ha ammesso l’errore senza nascondersi dietro ad improbabili dita. Ora la Ferrari nella sua caccia alla Mercedes – che ha segnato un altro piccolo passetto in avanti – sa di avere un’arma in più: lo specialista in rimonte, in pista e fuori dalla pista, Kimi Raikkonen. Il quale, diciamolo, non fa molto per rendersi simpatico al pubblico, ma in questa specialità non è nemmeno fortunato: nel giorno del suo ritorno in grande stile ha visto i titoli dei giornali italiani riempirsi della nuova, fantasmagorica impresa dell’inarrivabile Valentino Rossi. Ma la comunicazione, si sa, non è il forte di Iceman…