Posso dire un’eresia? La vittoria in Malesia di Sebastian Vettel è arrivata troppo presto. D’accordo, potete classificarla come una battuta da bar, al limite della provocazione. Ed in effetti lo è, perché non è mai troppo presto per tornare a vincere, specie se non lo si fa da molto tempo. Però è probabilmente quello che è successo e, in qualche modo, la Ferrari e la Formula Uno nel suo complesso ne paga adesso le conseguenze. E’ come quando un grande polverone viene sollevato da un esplosione e occorre aspettare che questo si depositi per riuscire a scorgere cosa è rimasto effettivamente dietro alla coltre di fumo. La “bomba” lanciata da Sebastian Vettel, dal suo grande talento, da una squadra in giornata di grazia e da un’altra, la Mercedes, colta di sorpresa, è arrivata sul Mondiale 2015 con tutta la sua “portata”, ma adesso che la nuvola di polvere che ne ha confuso un po’ i contorni agli occhi degli appassionati e degli addetti ai lavori si sta depositando, il quadro che ne emerge è che le distanze fra la Ferrari e la Mercedes non si sono ridotte, anzi, forse si sono ampliate.
Quello che si è visto a Barcellona è un copione che ci riporta mestamente allo scorso anno e poco importa se la Ferrari si conferma stabilmente la seconda forza in campo dopo lo squadrone dell’accoppiata Lauda-Wolff: Mercedes in fuga con una condotta di gara autoritaria e con la “logica” di scuderia che vuole che il pilota che parte davanti sia “accompagnato” alla vittoria dal compagno di squadra senza troppi patemi. Una tattica che si può permettere solo chi è molto sicuro della sua superiorità. Insomma, torniamo alla iperbolica affermazione dell’inizio: la vittoria di Sepang è arrivata troppo presto. Troppo presto per la Ferrari che ha pensato di essere ad un passo dal “ricongiungimento” con i fuggitivi, per usare un’immagine che omaggia l’appena iniziato Giro d’Italia. Troppo presto per i tifosi di Maranello che già stavano pregustando il Mondiale della Rinascita, dove insidiare la supremazia della Mercedes e, chissà, magari giocarsela fino alla fine. Troppo presto, è questo si configura come un problema serio, per questa Formula Uno che ha “insabbiato” il dibattito aperto sulla sua popolarità in picchiata e su uno spettacolo sempre meno accattivante. Un dibattito che va invece riaperto di corsa, come la soporifera gara di Barcellona, che avrà certamente accompagnato molti dei suoi spettatori verso un rilassato sonnellino ristoratore, ha ampiamente dimostrato. Non bastano le regole cervellotiche, le sostituzioni forzate dei pneumatici o i ridicoli alettoni mobili stile Polistil – chi può capirlo l’ha capita! – per fare spettacolo. Occorre “ritornare” al pilota, rendendolo capace di “metterci del suo” senza dover seguire i binari della strategia o cambiare traiettoria una volta sola in fase di sorpasso.
L’8 maggio 1982 moriva a Zolder Gilles Villeneuve: un Gran Premio senza sorpassi non è certo un buon modo per onorarne la memoria. La noia è tale che è piuttosto semplice azzeccare l’ordine d’arrivo anche prima della corsa: Mercedes, Ferrari, Williams, Ricciardo (in genere non Kvyat), Grosjean (in genere non Maldonado) e le Toro Rosso. Dietro, in rigoroso ordine di scuderia, Sauber, Force India, McLaren – ancora in difficoltà – e, a qualche anno luce di distanza, la Manor. Serve altro per decidere di cambiare qualcosa? Ma torniamo al presente. La novità della giornata è il “ritorno” di Nico Rosberg che dopo un inizio stagione di appannamento dove aveva subito pesantemente il fattore-Hamilton, ha rispolverato una prestazione di grande livello, come è nelle sue corde. Il figlio di Keke quando è in queste condizioni è pressoché imbattibile per tutti, ma mantiene un tratto che lo relega comunque al ruolo di outsider nella sfida con Hamilton: la mancanza di costanza. Se infatti Nico azzeccherà una gara ogni sei, come finora capitato, avrà vita dura contro un avversario che invece è una vera e propria “macchina da pista”, implacabile. Lo ha dimostrato anche a Barcellona con il coraggioso “cambio” di strategia che lo ha portato a ridosso del compagno di squadra nell’ultima parte della corsa.
Una “manovra” che paradossalmente ha testimoniato l’assurdità della Formula 1 di oggi: ma ve lo immaginate Senna o Prost o Mansell o Piquet, tanto per fare qualche nome, che a dieci giri dalla fine è primo in pista con delle gomme accettabili che docilmente rientra ai box richiamato dal suo muretto “regalando” la vittoria al più diretto rivale? Fantascienza. Che grazie ai “geni del regolamento” è diventata realtà. Sarà il pessimismo cosmico di un tifoso deluso, ancora prima che il pensiero “tecnico” di uno scrivano di periferia che occasionalmente si occupa di Formula Uno. Ma vi sfido a dimostrarmi il contrario. Penso che sia su questo che i Potenti della Federazione dovrebbero riflettere. Prima ancora che di motori, calendari e costi di gestione. E speriamo che la magia di Monaco ci ridoni le emozioni perdute.