D’accordo, 79 anni non è un anniversario particolarmente accattivante, dato che non fa nemmeno cifra tonda. Ma ogni tanto, fra la penuria di personaggi che l’automobilismo moderno propone, forse non fa male ogni tanto respirare un’aria diversa, quella dei grandi campioni del passato, un passato dove rischiare la pelle era la regola quotidiana e senza un coraggio fuori da ogni scala non accendevi nemmeno la macchina. Fosse ancora tra noi, Denny Hulme, Campione del Mondo 1967 con la Brabham, compirebbe il 18 giugno 79 anni. La figura di Hulme è un po’ dimenticata ai nostri giorni, coperta di polvere e sbiadita dagli anni che sono passati. Eppure il neozelandese era un personaggio straordinario e singolare, un uomo che evitava accuratamente tutto ciò che di più “glamour” la sua professione poteva offrirgli e correva per vera, pura, irrefrenabile passione. L’opposto dello stereotipo del pilota “viveur” che impazzava a quel tempo. Aveva un carattere schivo e riservato che a volte si apriva inaspettatamente in manifestazioni istrioniche e sorprendenti, come la famosa foto col fiore in bocca dopo la vittoria ad Anderstorp, nel Gran Premio di Svezia del 1973. Anche la sua storia è unica: figlio di un ex-cartomante, eroe di guerra e imprenditore nei trasporti, iniziò come meccanico nel garage di famiglia, acquistandosi la prima vettura da corsa a 20 anni per partecipare alle gare in salita. Nel 1960 vinse il Driver to Europe Trophy, gara organizzata dalla Federazione neozelandese per permettere a giovani piloti locali di tentare la fortuna in Europa: fu così spedito in Inghilterra insieme al suo amico George Lawton – secondo in quella gara – per tentare la fortuna nel Vecchio Continente. Lawton, morì nel settembre di quello stesso anno in seguito ad un incidente durante il Gran Premio di Danimarca di F2 ma Hulme non abbandonò il suo progetto e trovò lavoro come meccanico nella squadra Brabham e, solo nel ’63, un ingaggio da pilota in Formula Junior con la scuderia di Ken Tyrrell. Jack Brabham gli offrì un volante in F.2 nel 1964 e Denny fu subito un “crack” nel Campionato Europeo, finendo secondo in classifica finale diligentemente dietro al proprio datore di lavoro, capo ingegnere e compagno di squadra. Era l’inizio dell’inesorabile ascesa di Denny: nel ’65 fu promosso da “Black Jack” terza guida in Formula 1 con lui e Dan Gurney, nel ’66 finì quarto nel Mondiale vinto da Brabham, oltre che secondo a Le Mans su una Ford GT40 con Ken Miles e nel ’67 divenne Campione del Mondo con le sue prime due vittorie in carriera a Monaco e al Nürburgring, completando la sua incredibile trasformazione da meccanico a “Re” della Formula 1 in meno di quattro anni. incredibile! Nonostante la trionfale stagione, Denny lasciò la Brabham nel ’68 affascinato dalla opportunità di partecipare all’avventura tutta neozelandese nella scuderia appena fondata dal suo amico e connazionale Bruce McLaren, con cui gareggiò per sette anni – nonostante la tragica scomparsa di Bruce del 1970 che lo segnò profondamente – inanellando altre sei vittorie e due terzi posti in classifica nei Mondiali ’68 e ’72.

Denny corse a lungo con le macchine “arancioni” anche in Can-Am, conquistando il titolo di categoria nel ’68 e nel ’70. Nel 1974 vide da poca distanza il tragico incidente che costò la vita al suo ex-compagno di squadra e amico Peter Revson, cui tentò invano di salvare la vita. Prese allora la decisione definitiva di ritirarsi dalle competizioni e al termine della stagione e uscì in punta di piedi, dopo un’annata mediocre con soli due grandi exploit: la vittoria aBuenos Aires e il secondo posto in Austria. La passione per le corse e per la velocità non lo abbandonò mai: a partire dal 1978 continuò a gareggiare in patria con auto e camion, dedicandosi principalmente alle corse per le vetture Turismo. Stava guidando la sua  durante la 1000 Km di Bathurst nell’ottobre 1992 quando parcheggiò improvvisamente la vettura sull’erba; un inserviente della pista si avvicinò non vedendo il pilota uscire, aprì la portiera e lo trovò già morto, stroncato da un infarto fulminante. Aveva 56 anni. Questo era Denny Hulme: un vero amante delle corse in auto. Non del “mondo delle corse”, ma proprio delle corse in quanto tali, del ferro e dell’asfalto, dell’olio sul casco e della puzza di benzina; un uomo che fece quello che desiderava fare fino all’ultimo istante di vita, fino a morire letteralmente al volante.