Anche il Gran Premio d’Austria se ne è andato senza trasmettere indimenticabili brividi e senza portare particolari scossoni all’andamento di questa seconda stagione del TMM che continua, imperterrita, nei binari già tracciati dai precedenti appuntamenti in calendario. Come dite? Che diavolo è il TMM? Semplice, il Trofeo Monomarca Mercedes che si è introdotto sotto la “pelle” del Mondiale di Formula 1 come facevano i subdoli extra-terrestri che prendevano il controllo degli umani in Alien. Un appunto per i molti che troveranno le mie citazioni cinematografiche troppo datate: in quel film di Ridley Scott dell’ormai lontano 1979 che lanciò nell’Olimpo del cinema Sigourney Weawer, gli umani che venivano “scelti” dai parassiti alieni per il loro soggiorno sulla Terra, non facevano certo una bella fine. Ogni riferimento alla di oggi è puramente casuale. Ma torniamo a noi: anche a casa della Red Bull, sullo splendido anello di Spielberg rivitalizzato dai finanziamenti di Dietrich Mateschitz, le Frecce d’Argento hanno ancora una volta monopolizzato la scena fin dalle qualifiche, dove hanno regolato gli avversari senza troppi sforzi e pure “sbagliando” i giri più veloci, per poi continuare il monologo in gara dove, secondo uno schema di gioco ormai consolidato, chi fra Nico Rosberg e Lewis Hamilton arriva primo alla prima curva, finisce per vincere la gara. Una consuetudine che, tra l’altro, riduce una gara di macchine che dovrebbe fare spettacolo a qualcosa di simile ad un libro giallo dove l’assassino si capisce alla seconda pagina. Ma tant’è: sarà forse quella sorta di invidia che anima in questo periodo il tifoso ferrarista medio a farmi ragionare in questo modo, ma la realtà è che la superiorità dei tedeschi resta imbarazzante per i loro avversari. Peccato, perché il tracciato di Zeltweg-Spielberg, che affonda le sue radici nello splendido Osterreichring che a cavallo degli anni ’70 ed ’80 fu teatro di alcune memorabili corse spesso segnate da clamorose sorprese, è una pista vecchio stampo, spettacolare e guidata, capace di regalare staccate e spazio per i sorpassi per chi ha piede e pelo sullo stomaco. E vedere i bolidi sfrecciare fra le verdi vallate della Stiria e non fra gli improponibili e pacchiani colori fluo dei circuiti di ultima generazione che sembrano più dei luna-park, è un piacere che fa bene agli occhi. L’Austria, nella storia delle corse, è con una incredibile cadenza regolare, terra di grandi sorprese: nel 1971 vinse Jo Siffert sulla BRM che dominò la corsa con pole e giro veloce, unico exploit della stagione dello svizzero e seconda ed ultima vittoria della sua carriera, stroncata alla fine di quello stesso anno dall’incidente mortale che lo vide protagonista a Brands Hatch. Nel 1974 vinse un giovane argentino in piena ascesa con la Brabham: era Carlos Reutemann, il “gaucho triste”, mentre nel 1975 in una gara a dir poco rocambolesca e corsa sotto una pioggia torrenziale, vinse la sua unica gara della carriera l’indimenticato Vittorio Brambilla, con la sua proverbiale March colorata di arancione, schiantandosi contro un muro per la troppa esultanza subito dopo il traguardo. L’incredibile serie di unicum continua anche l’anno successivo con la vittoria della Penske guidata dal giovane inglese John Watson e nel 1977, quando vinse per la prima e sola volta della sua storia la Shadow, primo trionfo anche per il futuro campione del Mondo Alan Jones. Vittorie “non convenzionali” anche quelle di Jean-Pierre Jabouille nel 1980 sulla Renault, di Jacques Laffite nel 1981 sulla Ligier e del grande Elio De Angelis nel 1982 sulla Lotus, quando il nostro campione batté sul traguardo la Williams di Keke Rosberg – proprio lui, il papà di Nico – di 20 centimetri, nella gara con minor scarto fra primo e secondo classificato di tutta la storia della F1. Insomma: correre in Austria è sempre stata una scommessa per la variabilità del tempo, la difficoltà del tracciato ed una cabala che ha spesso disegnato traiettorie strane. Ebbene, non penso abbia considerato alcunché di quanto sopra scritto Nico Rosberg, che dopo un giro aveva già costruito una vittoria scontata davanti ad un Hamilton più pasticcione del solito, smitizzando la fama di portatrice di sorprese di Zeltweg e deludendo l’attesa dei molti che, ormai, giocoforza, gli tifano “contro”. Ma forse questa impercettibile inversione di tendenza nel braccio di ferro fra i due piloti Mercedes è l’unico aspetto nuovo di questa gara. Per il resto, solite cose.

Solita Ferrari: potenziale da terzo posto – ma ben distante dal secondo – e risultato fuori dal podio per errori e sfortuna, con conseguente solita incazzatura di Maurizio Arrivabene. Stavolta, basta un dado mal fissato per portare Seb Vettel dietro a Felipe Massa che sfrutta la potenza del suo motore nelle lunghe accelerazioni del circuito e si tiene dietro fino alla fine il ferrarista. SolitaWilliams a poca distanza dalla Rossa e capace di sfruttarne gli errori ma senza il piglio – o il permesso? – di impensierire la Mercedes. Solito disastro Honda, per la disperazione dei giapponesi che per adesso non ne hanno azzeccata una. Soliti tutti gli altri dalla cui consueta zuffa – unica parte divertente della gara dive si sono visti anche sorpassi di un certo livello – emergono questa volta le due Force India più competitive del solito grazie al motore e Pastor Maldonado al quale, nel bene e nel male, occorre riconoscere per lo meno di essere capace di fare un po’ di spettacolo. Peggio del solito Kimi Raikkonen, che dopo qualche sussulto nel corso della stagione ha iniziato un filotto di errori che ne mettono a serio rischio il sedile in Ferrari. Ora il circus si sposta in un altro dei suoi più classici teatri: Silverstone. Il copione sarà diverso?