“Il Maestro”: nel mondo delle corse lo chiamavano semplicemente così. In Argentina è ancora popolarissimo, come fosse un affermato sportivo dei nostri giorni e resta una delle più grandi glorie nazionali. Anche lì, per parlarne, in genere non usano il suo nome ma lo chiamano il Pentacampeon. E, forse, non ci sarebbe molto altro da aggiungere. Juan Manuel Fangio, nato nella piccola Balcarce, lo stesso sobborgo di Buenos Aires che ha dato i natali a Froilan Gonzalez, il 24 giugno di 104 anni fa, è stato uno dei più straordinari e carismatici campioni che il mondo dell’automobilismo ricordi, l’unico ad avere conquistato titoli mondiali con quattro scuderie diverse, l’unico ad avere vinto la metà dei Gran Premi cui ha partecipato, l’unico, prima dell’avvento di Michael Schumacher, ad avere conquistato cinque allori iridati, ma in soli sette anni “veri” di partecipazione al Mondiale. Molti vorrebbero definire Fangio come il più grande pilota di tutti i tempi, ma è scontata l’obiezione che sono difficili i paragoni fra epoche diverse. Ancora più difficile è anche immaginare quali incredibili record avrebbe potuto raggiungere Il Maestro dal punto di vista dei “numeri” senza gli anni “mangiati” dalla Seconda Guerra Mondiale o con un calendario di 16-18 corse come l’attuale al posto delle 6-8 di allora. Una cosa è certa: nessuno come lui ha segnato un’epoca, formando generazioni di piloti per i quali era l’indiscusso punto di riferimento. Fangio è stato il primo a concepire la sua attività in modo professionale, dedicandosi alla preparazione fisica e conducendo una vita molto controllata. Univa al suo straordinario talento naturale una grande costanza e determinazione, studiando le auto e le piste con una meticolosità che all’epoca era assolutamente unica. Fu senza ombra di dubbio il primo, vero, pilota moderno. Figlio di immigrati italiani in Argentina ed ex-maratoneta, iniziò la sua carriera sportiva da calciatore, ricevendo presto il soprannome di Chueco – fantino – a causa della forma arcuata delle sue gambe. A 16 anni lasciò gli studi per diventare meccanico seguendo la sua passione per le macchine ed i motori e avvicinandosi così al mondo delle corse. Lo storico giorno dell’esordio del più grande pilota del primo dopoguerra arrivò nel quando Fangio partecipò ad una competizione con una Ford T, ma fu dal 1936 che cominciò a dare più continuità al suo impegno in pista. La prima vittoria coincise anche con la prima gara a carattere internazionale, il massacrante Gran Premio Internacional del Norte, una maratona in tredici tappe da 9445 Km che si svolse dal 27 settembre al 12 ottobre 1940, partendo da Lima, in Peru, e arrivando a Buenos Aires: fu quello l’inizio dei numerosi trionfi di Fangio con la Chevrolet nella leggendaria serie “Turismo Carretera” che lanciarono El Chueco nell’olimpo dei più popolari piloti del suo paese, diviso come l’Italia era fra Bartali e Coppi, fra i tifosi di Fangio e dei suo grandi rivali Domingo Marimon e i fratelli Juan e Oscar “Los Galvez”. Dopo la guerra Fangio riprese l’attività in patria e sbarcò in Europa solo nel 1948 proprio insieme al suo amico-rivale Oscar Galvez quando aveva già 37 anni. Non era però troppo tardi: nei dieci anni successivi “Il Maestro” raccolse ogni genere di successo – in Europa partecipò in tutto a 186 corse, vincendone 78 – dominando la scena della Formula 1 nei primi anni del Campionato con Alfa Romeo, Maserati, Mercedes e Ferrari. Sono legati a lui episodi leggendari e gli aneddoti relativi alla sua inarrivabile carriera potrebbero riempire un libro. Qualche piccolo flashback della sua avventura europea: l’epica vittoria a Pedralbes che gli consegnò il titolo ’51 a discapito di Alberto Ascari o l’epopea delle “Frecce d’Argento” Mercedes nel biennio ’54-’55; il duello con Hawthorn a Reims ’53 o quello con Ascari, Villoresi e Marimon che diede alla Maserati la prima vittoria della sua storia nel Mondiale a Monza lo stesso anno. La più straordinaria vittoria fu probabilmente quella a Buenos Aires nel 1955 quando, in un caldo torrido che costrinse tutte le scuderie ad alternare più volte i piloti nelle macchine come consentito all’epoca, il solo Fangio guidò ininterrottamente per oltre tre ore la sua Mercedes trionfando con un vantaggio abissale sugli inseguitori: fu estratto a braccia dalla vettura semisvenuto e impiegò vari giorni per riprendersi. Una carriera segnata anche da drammi, come la morte del suo pupillo Onofre Marimon, figlio di Domingo, al Nurburgring nel ‘54: in una intervista dopo il suo ritiro disse che, pensando agli amici piloti che aveva perso per incidenti in pista nel corso di tutta la sua carriera, era arrivato a 54 nomi. Nonostante ciò, ebbe solo raramente incidenti, segno inequivocabile della maestria con cui era in grado di individuare il limite e di non superarlo che di rado: il più grave fu del 1952 a Monza e gli costò un anno di inattività. Oltre alle vittorie, Juan Manuel Fangio si guadagnò il totale, unanime ed incondizionato rispetto dei colleghi che ne ammiravano anche il comportamento irreprensibile e corretto, la semplicità d’animo a dispetto della fama e la disponibilità sempre totale con tutti. Quando Mike Hawthorn raggiunse Fangio, attardato di un giro, a Reims nel Gran Premio di Francia del 1958 – l’ultima corsa del quarantasettenne Maestro – si rifiutò di doppiarlo, accodandosi all’argentino e mettendo a repentaglio, per rispetto, una vittoria certa. Peter Collins, che cedendogli la vettura in due Gran Premi nel ’56 gli consenti di vincere il quarto Titolo Mondiale, diceva di lui: “Fangio è uno dei più grandi uomini che io abbia mai conosciuto. E non mi sto riferendo semplicemente alle corse”.