Non succedeva dal 1994, da quel terribile week-end di Imola nel quale trovarono la morte Roland Ratzenberger ed Ayrton Senna. Ed i nove mesi di agonia, di attesa, di distanza dal momento dell’incidente, che hanno attutito il clamore mediatico, non sono riusciti a rendere meno doloroso l’esito di questa vicenda. Jules Bianchi, senza mai riprendere conoscenza da quel terribile schianto del 5 ottobre al Gran Premio del Giappone, è morto a Nizza, nell’ospedale dove era ospitato nel tentativo di permettergli una difficile, impossibile, ripresa. La Formula 1, ormai diventata un multicolore carrozzone dove il business si è mangiato gran parte del fattore umano, non è più abituata ad un avvenimento del genere e, anche se il tempo passato ha attutito il colpo e l’onda d’urto mediatica che avrebbe avuto una morte in pista, non può non interrogarsi. Non tanto alla ricerca a tutti i costi del “colpevole” – al di là delle lacune e degli errori, l’automobilismo è uno sport pericoloso e la fatalità esiste – ma piuttosto per rimettere al centro dello spettacolo chi, come Jules, in fondo rischia la pelle in prima persona e, nello stesso tempo, per far rendere conto a tutti che le corse non sono solo un videogame, ma una cosa maledettamente seria. E pericolosa. Ma tant’è. Jules Bianchi è il ventiquattresimo pilota nella ultrasessantennale storia del Campionato del Mondo di Formula 1 ad aver perso la vita in seguito ad un incidente in un Gran Premio, come detto, ventuno anni dopo Ayrton Senna ad Imola, il 1° maggio 1994 e senza contare i numerosi incidenti mortali occorsi in competizioni “fuori campionato” oggi scomparse ma fino alla metà degli anni ’70 assolutamente normali e molto popolari. Il primo fu Onofre Marimon, argentino e pupillo di Juan Manuel Fangio, che morì con la sua Maserati durante le prove del Gran Premio di Germania sull’”inferno verde” del Nurburgring nel 1954. Dopo di lui, grandi campioni e giovani alle prime uscite, drammi “sconosciuti” ed incidenti entrati nella storia delle corse. E poi, da oggi, Jules Bianchi. Un ragazzo di cui molti dopo gli ottimi risultati ottenuti con la non certo fulminea Marussia e stante i suoi consolidati trascorsi nella Ferrari Academy, pronosticavano un promozione a pilota titolare Ferrari al posto di Kimi Raikkonen alla fine della scorsa stagione. Ed invece il destino aveva deciso diversamente, in quella domenica di ottobre a Suzuka. Jules era l’ultimo rampollo di una famiglia che aveva fatto della passione per i motori il centro della propria esistenza. I Bianchi emigrarono da Milano negli anni dell’immediato dopoguerra e stabilirono in Belgio dove il bisnonno di Jules, dopo aver lavorato per la prestigiosa Scuderia Ambrosiana, era stato assunto come meccanico nella sua Ecurie Belge dal migliore pilota francofono del tempo, lo straordinario campione-musicista – era infatti un jazzista di grido – Johnny Claes. I suoi figli Mauro, nonno di Jules, e Luciano – che all’anagrafe si cambiò il nome “alla francese” in Lucien – crebbero così a pane e motore fino a diventare due dei più popolari e vincenti esponenti della tradizione belga in fatto di piloti. Lucien era il più talentuoso: versatile e costante, era capace di essere decisamente competitivo in ogni tipo di competizione, anche quelle su strada e nei rally, oltre ad essere in possesso di un carattere mite ed aperto e di un atteggiamento sempre disponibile che lo rendevano molto amato anche dai colleghi. Mauro, invece, più giovane di tre anni, si era concentrato soprattutto sulle competizioni sport, con alterne fortune. Lucien ebbe una eccellente carriera anche in in particolare con la Cooper, ma era nelle competizioni sport che sapeva dare il suo meglio e nel 1968, dopo aver trionfato in coppia con Jacky Ickx alla 6 Ore di Watkins Glen, vinse con la Ford GT40 di John Wyer – quella dei celebri colori blu e rosso della Gulf – la 24 Ore di Le Mans con Pedro Rodriguez. Ma fu proprio la pista della Sarthe a tradirlo: l’anno successivo morì infatti durante le prove ufficiali guidando una Alfa Romeo. Anche Mauro pagò duramente la sua passione: la sua carriera fu infatti interrotta da un terribile incidente proprio a Le Mans ’68, nell’edizione vinta da suo fratello, quando centrò un muro con la sua Alpine che condivideva con Patrick Depailler. La vettura esplose e Mauro ne uscì gravemente ferito ma vivo per miracolo. Fu la sua ultima corsa. Nato a Nizza e per questo cittadino francese, anche Jules aveva ereditato un talento fuori dal comune. L’aveva mostrato fin dal suo debutto in Formula Renault datato 2007, continuando a mietere successi anche in Formula 3 nel biennio 2008-2009 ed in dal 2010. E’ in questo periodo che le sue ottime prestazioni lo fanno notare all’entourage di Stefano Domenicali, team principal Ferrari, che lo fa entrare nel novero dei giovani talenti della Ferrari Academy, perorando la sua causa per diventare terzo pilota Force India nel 2012 e titolare alla Marussia, dotata dei motori Ferrari, dal 2013. Nonostante la vettura non eccelsa, Jules non ha mancato di mostrare il suo talento: non c’è dubbio che la giornata della “consacrazione” a stella emergente sia stata quella del Gran Premio di Monaco 2014, quando Jules portò per la prima ed unica volta nella sua storia la squadra russa a punti, finendo nono. Il suo piccolo, personale ed indelebile segno lasciato agli appassionati di tutto il mondo che ricorderanno un giovane talento cui un destino ingiusto ha impedito di diventare un campione vero.