So bene che il mio modo di vedere ed intendere le corse è assolutamente vintage e di costituire una sorta di razza in via di estinzione. Anzi, vintage è forse una definizione gentile e chi volesse essere un po’ più tagliente direbbe forse retrò. Ma cosa ci devo fare, io sono affascinato dai grandi uomini, quelli che hanno segnato la storia dell’automobilismo sportivo con il loro genio, il loro carisma, il loro coraggio, il loro – a volte estremo – sacrificio.
C’era una volta una Formula Uno fatta di “costruttori”. Non di grandi case automobilistiche con i loro faraonici budget, ma di gente che per passione pura e partendo dal nulla – chi da un “garage”, chi da una stazione di servizio, chi nemmeno da quelli – ha messo in piedi le “scuderie” che hanno costruito la storia delle corse e che, fortunatamente, ancora oggi cercano di farlo sebbene con mille difficoltà. Enzo Ferrari, ovviamente, in primis. Ma anche – in rigoroso ordine sparso e solo per citare i più grandi – Charles e John Cooper, Colin Chapman, Jack Brabham, Ken Tyrrell, Frank Williams, Bruce McLaren. La “versione francese” di questa schiera di personaggi – sulle orme del capostipite Amedée Gordini negli anni ’40 e ’50 – era Guy Ligier. Il grande pilota e costruttore francese è scomparso ad 85 anni il 23 agosto, lo stesso giorno in cui, nel 1987, ci aveva lasciato in un incidente durante una gara off-shore una delle sue più grandi scoperte: Didier Pironi, che vinse proprio su una Ligier il suo primo Gran Premio nel 1980.
Guy Ligier era il classico uomo tutto d’un pezzo che seguiva ardentemente le aspirazioni del suo cuore: era un giocatore di rugby di fama internazionale e quando si ritirò nel 1964 a 34 anni, fu convinto ad assecondare la sua passione per i motori e le corse automobilistiche dal suo amico strettissimo e socio in affari Jo Schlesser, a sua volta “vittima” di una vocazione tardiva al mestiere di gentleman-driver che lo aveva però proiettato in breve tempo fra i migliori piloti transalpini del tempo in ogni categoria. Guy iniziò per hobby con un prototipo Porsche e rimase folgorato: di lì a poco costituì la sua Equipe Ligier e già nel 1966 acquistando una vecchia Cooper era n F.1. Sfortunatamente per lui non aveva il talento del suo amico Schlesser e si doveva barcamenare a centro gruppo: scampò ad un terrificante incidente al Nurburgring in quello stesso anno e fu sesto – suo unico punto iridato – nella rocambolesca edizione ’67 del Gran Premio di Germania su quella stessa pista, dopo aver acquistato al posto della Cooper una più competitiva Brabham. Ma quando Jo Schlesser morì nel tragico rogo della sua Honda al Gran Premio di Francia 1968 – da allora Guy siglò tutte le sue vetture “JS” in ricordo dell’amico scomparso – decise di appendere il casco al chiodo e diventare costruttore. La Ligier fu indiscutibilmente nei venti anni successivi la “bandiera” del motorismo francese e, per lungo tempo, una delle più prestigiose e vincenti scuderie in Formula Uno con non rare “digressioni” negli sport prototipi.
Anzi, la prima Ligier – la JS1 – fu costruita proprio per partecipare alla 24 Ore di Le Mans del 1970. Il “grande salto” in Formula Uno è datato 1976 con la spettacolare “JS5”, una vettura originalissima e spettacolare diventata familiare a tutti per quel suo colore azzurro e per la ballerina stilizzata simbolo dello sponsor-tabaccaio – rigorosamente francese – che ne finanziò per anni la presenza in pista. A bordo sempre e rigorosamente, almeno in quelle prime eroiche stagioni, piloti transalpini. Guy Ligier fu il principale ispiratore e l’uomo-chiave che contribuì alla crescita di quell’incredibile nidiata di francesi che in quegli anni irruppe sulla scena del motorismo sportivo. Passarono dalla Ligier Jacques Laffite, Jean-Pierre Jarjer, Patrick Depailler, Jean-Pierre Jabouille, Patrick Tambay, René Arnoux e Didier Pironi. Fu proprio Laffite a regalare a Guy la sua prima vittoria nel Gran Premio di Spagna del 1977. Il periodo d’oro fu il triennio 1979-1981 quando la Ligier conseguì altri sette successi e fu a larghi tratti una delle candidate più serie alla vittoria del Titolo Mondiale. Nel 1979 lo scellerato incidente in deltaplano a metà stagione che troncò la carriera di Patrick Depailler fu forse l’evento-chiave che consentì la trionfale cavalcata verso il titolo alla coppia della Ferrari Scheckter-Villeneuve.
Dopo quegli anni ruggenti, seguì un lungo declino durato per tutti gli anni ’80 e ’90, segnati dalla caparbia resistenza di Guy ai “tempi che cambiano”, alla cronica scarsità di fondi disponibili e alla impossibilità di emergere senza i grandi capitali a corroborare la tenacia ed il talento. In questi anni qualche rara soddisfazione ha segnato la storia del team fino alla magica ed incredibile giornata di Montecarlo, il 19 maggio 1996. Guy Ligier si era già ritirato da quattro anni restando dietro alle quinte della sue scuderia che, l’anno successivo, sarà poi acquistata da Alain Prost e cambierà nome. Ma quel giorno la macchina blu che fra lo stupore generale – e sotto una pioggia torrenziale – tagliò per prima il traguardo a Monaco si chiamava ancora Ligier ed era, come voleva la tradizione, pilotata da un francese: Olivier Panis. Fu la nona ed ultima vittoria della storia della Ligier, quindici anni dopo quella di Jacques Laffite al Gran Premio del Canada del 1981. Con Guy Ligier l’automobilismo perde un altro dei suoi grandi e romantici personaggi. Di quelli che, come ha detto Alain Prost commentando la sua scomparsa, hanno vissuto le corse semplicemente come passione pura.