42 a 41. Sebastian Vettel ha superato Ayrton Senna. Almeno, questo è quello che dicono i freddi numeri. Certo, non sempre i numeri sono sufficienti per descrivere la realtà. Anzi, spesso si rivelano riduttivi. Non sono certo i numeri quelli che sono in grado di raccontare la grandezza, il carisma ed il talento di quello che, nonostante tutto, rimane probabilmente il più grande pilota che si sia mai visto su una pista nel dopoguerra, certamente quello che più di ogni altro ha incarnato lo spirito del suo popolo – quello brasiliano – ed è stato capace di trascinare e dividere le folle. Insomma, dire che qualcuno “è più grande di lui” – anche di fronte al mito creato dalla sua tragica fine ad Imola – suona come una sorta di sacrilegio. Ma è pur vero che, nel loro piccolo, anche i numeri parlano, hanno la loro dignità e – soprattutto a certi livelli – significano qualcosa di preciso. Oggi, dopo il Gran Premio di Singapore, quei numeri sanciscono una cosa: che Sebastian Vettel è ormai entrato definitivamente nello stretto novero dei più grandi di tutti i tempi. I suoi detrattori, quelli che avevano affermato che i suoi titoli mondiali fossero legati soprattutto ai meriti della Red Bull ed in particolare della progettazione “superiore” di Adrian Newey, si sono dileguati come neve al sole di fronte al percorso fatto dal tedesco in Ferrari, sulle orme del suo maestro e riferimento indiscusso Michael Schumacher. Certo, Seb ha trovato una squadra con fortissime motivazioni, con una voglia di rivincita feroce, con un tasso di “novità nella tradizione” che era da sempre stato il marchio di fabbrica del suo Fondatore e che si era sbiadito negli ultimi anni. Ha trovato un uomo come Maurizio Arrivabene che ha avuto, innegabilmente, un impatto fantastico sull’ambiente Ferrari e sull’intero mondo della Formula 1. Ma occorre dire che molto ce lo ha messo del suo e non solo in pista. Il suo “fare squadra”, stare con i meccanici, non risparmiarsi mai, parlare in italiano, affidarsi alla scuderia – insieme beninteso al suo smisurato talento – ha costruito una Ferrari nuova, soprattutto a livello mentale. Che – e questo è un dato interessante – negli ultimi quattro Gran Premi sarebbe in quanto a punti davanti alla Mercedes. Insomma, il trionfo di Singapore – una gara dominata dall’inizio alla fine – è figlia delle scelte giuste – e frettolosamente criticate da molti, me compreso, verso la fine dello scorso anno – fatte dalla proprietà nel trovare il nuovo team principal, il nuovo pilota e costruire lo staff tecnico, promuovendo “dall’interno” gli uomini di talento. Da questo punto di vista, l’idea di Maurizio Arrivabene di mandare sul podio Modesto Menabue – ovvero il componente del Reparto Corse che da più tempo è a Maranello, essendo entrato nel 1978 quando aveva 16 anni e quando nell’officina imperava ancora la legge del Drake – è un vero e proprio colpo di genio che rende perfettamente l’idea di quale sia la compattezza e lo spirito della squadra. Una compattezza che si trasforma in una pressione che la Mercedes sente, e sente fortissimo. Per il Mondiale 2015 è probabilmente tardi, visto il divario da Lewis Hamilton e le poche gare – sei – restanti. Ma le prospettive per il futuro sono in pochi mesi completamente cambiate. E’ quindi con tutta la curiosità del mondo che ci apprestiamo tra qualche giorno a capire se il malessere Mercedes sia passeggero o piuttosto qualcosa di più serio. Difficile dirlo adesso, sia per non cedere ai facili entusiasmi sia perché nemmeno i tedeschi danno l’idea di avere chiaro cosa sia successo a Marina Bay e come mai sul giro secco in prova fossero ad oltre un secondo dalle Rosse. Ma quel che è certo è che il braccio di ferro fra i due unici campioni assoluti della F1 di oggi – Lewis e Seb – si annuncia ben più appassionante di ogni previsione. Anzi, mi correggo e faccio una digressione.

Nonostante un Alonso “triste” ed in calando, i veri fuoriclasse in pista sono comunque tre. Lo dico in tempi non sospetti e rischiando la figuraccia. Al suo arrivo in F1 molti hanno storto il naso, i colleghi più esperti lo hanno bacchettato etichettandolo come “incosciente” ed “inesperto” solo perché non aveva paura di provare a sorpassarli in ogni occasione, senza pensare alle strategie. La direzione di corsa lo ha invitato a “calmarsi” e perfino il suo box ha tentato di limitarlo con incomprensibili giochi di squadra a cui – inaudita insubordinazione – ha risposto in diretta mondiale con uno strepitoso e sovversivo “no”. In una F1 fatta di piloti “taxisti” che applicano la strategia che gli viene comunicata senza valutarla, che cambiano marcia quando sentono il “beep” del sistema elettronico e che non sorpassano mai perché tanto se la giocano al cambio gomme, c’è un ragazzino che sta scompaginando il circus e attaccando l’ordine precostituito. È la più grande novità che ci sia vista sulle piste negli ultimi dieci anni. E’ lui il terzo fuoriclasse. Il suo nome èMax Verstappen.