Un farraginoso risveglio, dal tipico sapore da lunedì mattina nonostante fosse domenica. La levataccia cui ha costretto i tifosi italiani il Gran Premio del Giappone ha avuto, in tutti i sensi, questo agrodolce sapore. Un risveglio un po’ brusco ed un po’, sotto sotto, temuto che ha riposto nel cassetto quel sogno coltivato solo i pochi giorni intercorsi fra la cavalcata di Sebastian Vettela Singapore e la “solita” gara di Suzuka. Ci avevamo creduto, forse più sulle ali dell’entusiasmo che seguendo un lucido ragionamento, ma ci avevamo creduto davvero: gli scricchiolii imprevisti nel monolite Mercedes, quel secondo e mezzo in qualifica dalla pole di Vettel e quella vittoria autoritaria della Ferrari ci avevano forse illuso rispetto alla effettiva possibilità di riaprire il Mondiale. Ora tutto sembra tornato alla normalità: Lewis Hamilton ha vinto facilmente una corsa decisiva – come spesso è stata decisiva nella storia della Formula 1 la gara nel paese del Sol Levante – ribadendo la propria candidatura “unica” per la corona Mondiale, la terza della sua carriera. Eppure, se le gerarchie imprevedibilmente scompaginate sette giorni orsono nella notturna di Marina Bay sembrano essere tornate alla normalità, il tifoso della Ferrari esce dal week-end di Suzuka stranamente tranquillo, sottilmente soddisfatto e decisamente speranzoso per il futuro. Il motivo è semplice: la sensazione, invero piuttosto suffragata dai fatti, di avere imboccato la strada giusta e, soprattutto, di percorrerla con gli uomini giusti. Una sensazione condivisa dai vertici di Maranello e da cui discende la assai precoce e per certi versi un po’ inattesa conferma di Kimi Raikkonen per il 2016: la squadra ha trovato un equilibrio interno, un clima ed un “amalgama” – per usare un termine calcistico assai caro al presidentissimo del Catania Angelo Massimino – che non si può mettere in discussione o rischiare di alterare e di questo equilibrio Kimi Raikkonen è un tassello importante, al di là dei suoi ancora altalenanti risultati in pista. Per questo la Ferrari nel 2016 sarà fortissima e si giocherà sul serio il Mondiale. Oggi, può aspirare a “disturbare” il dominio Mercedes mettendo in crisi l’anello debole della catena teutonica, ovvero Nico Rosberg. Ma per una volta rendiamo onore al merito degli avversari: Lewis Hamilton ha vinto da par suo, confermando di essere un grande della Formula 1, uno che entrerà nella hall of fame. Ha vinto dominando, non scomponendosi di fronte all’imprevisto che gli ha negato una pole certa e mettendo le cose in chiaro con il compagno di squadra fin dalla prima curva. Settima vittoria della sua carriera partendo ed arrivando in testa senza mai cedere il comando, superando in questa curiosa classifica il suo “presidente” Niki Lauda, fermo a 6. Ma, soprattutto, vittoria numero 41: un numero che nella F1 non è certo un numero qualunque, quello stesso che aveva raggiunto e superato proprio sette giorni fa Sebastian Vettel. Il numero delle vittorie in carriera di Ayrton Senna. Davanti solo Vettel – spalla a spalla – poi Alain Prost e, lontanissimo, Michael Schumacher. Lewis ha raggiunto Senna a Suzuka, una pista che, come certamente ricorderete, per Ayrton non era una come le altre.
Qui si sono consumate alcune delle pagine più epiche e più “nere” della sua carriera, qui ha vinto e perso Campionati del Mondo affrontando “a mani nude” il suo eterno rivale Prost, qui ha vinto anche l’ultima volta che vi ha corso, nel 1993. Vincere 41 volte, anche se si ha in mano una “bomba” come la Mercedes 2014-2015, non è questione banale ed è il caso di ricordarlo: Lewis Hamilton è un avversario durissimo da battere, un grande pilota ed un grande campione a prescindere da qualunque paragone con Senna che sarebbe difficile per chiunque. Ma a Suzuka, in una gara tutto sommato noiosa, non sono mancati gli spunti di riflessione. Mi ripeterò, ma ancora una volta ho visto uno strepitoso Max Verstappen. Gli si rompe la macchina in qualifica, cosa che lo relega al 15° posto, gli danno pure tre posizioni in griglia di penalizzazione per la solito assurdo cavillo regolamentare – che con lui è applicato sempre alla lettera perché “deve imparare” – e lui cosa commenta la domenica mattina? “Meglio, sarà più divertente rimontare”. Fantastico. Una spacconata? No: detto-fatto. Finisce nono inanellando una serie di sorpassi al limite che ormai, in questa Formula 1 votata alla tattica come fosse una partita a scacchi, fa solo lui. Max è il Villeneuve del 21° secolo, destinazione obbligata: la Ferrari. Per il resto il solito grigiore e l’altrettanto solito livellamento verso il basso: giornata storta in casa Red Bull con due errori dei piloti – sabato Kvyat e domenica Ricciardo – che hanno rovinato una gara che poteva essere di vertice. Buona figura della Lotus che, pur senza soldi – non hanno pagato agli organizzatori l’affitto dell’hospitality e se lo sono trovato chiuso all’arrivo sulla pista… – piazza due piloti a punti e rinfocola le voci ormai insistenti di un ingresso diretto nel team della Renault, “scottata” dai dissidi con la coppia Horner-Marko. Discreta la Force India con il solito solidissimo Hulkenberg. Così così la Williams che oggettivamente sta facendo un campionato sotto alle aspettative. Per il resto, rimane la figuraccia della Honda che ha incassato pure il commento stizzito in diretta di Fernando Alonso – un vizietto che l’asturiano non ha perso passando inMcLaren – che, sentendosi come un automobilista nella corsia destra dell’autostrada, ha bollato il motore nipponico come “da GP2”. Considerando che Suzuka è tradizionalmente la pista dove Honda conduce le sessioni di test, non si tratta certo di una grande operazione di branding. Ultima notazione. Ormai sembra un ricordo lontano che molti, forse per una inevitabile autodifesa, tendono a dimenticare, ma un anno fa in Giappone Jules Bianchi ebbe il tremendo ed incredibile incidente che gli è costato la vita, prima vittima della F1 dopo 21 anni e dopo Ayrton Senna. A lui, futuro campione “tradito” dal destino, un ricordo carico di nostalgia.