In Italia si fa presto in genere a saltare sul carro dei vincitori. E’ una sorta di sport nazionale cui molti partecipano ma facendolo in maniera “un po’ defilata”, perché in fondo dal punto di vista dell’immagine non è esattamente il massimo. E’ vero, lo so. Ma siccome io non ho una reputazione da difendere e ho il privilegio di agire nel mio spazio sul Sussidiario come una sorta di battitore libero, spero che mi concediate una piccola “caduta di stile”. Insomma, bando alle chiacchiere: io “l’avevo detto”. Fin dall’anno scorso, in cui si intravedevano nel coraggio, nella sfrontatezza e nella volontà di quel ragazzino di 17 anni la stoffa del campione. Una stoffa che passava anche dall’irruenza, forse a volte eccessiva, e regolarmente sottolineata con una punta di fastidio dagli inflessibili commissari di gara con reprimende e retrocessioni in griglia e dai suoi imbolsiti colleghi, punti sul vivo nell’essere talvolta buggerati e sbertucciati in pista da uno che non aveva ancora preso la patente per guidare sulla strada. Fin dall’anno scorso ho scritto e riscritto più volte che all’orizzonte della Formula 1 si vedeva un solo grande talento in grado di sparigliare le carte e di segnare il futuro delle corse: Max Verstappen. Certo, nessuno – men che meno il grandissimo Helmut Marko il cui ruolo nei successi Red Bull, a mio parere anche del passato, sta diventando sempre più evidente e chiaro – si sarebbe aspettato una esplosione del genere, immediata, improvvisa, alla prima gara in Red Bull. Molti obietteranno – e non senza ragione – che gli Dei del Motore hanno avuto un ruolo assai importante in tutta questa vicenda. L’auto-eliminazione della Mercedes – su cui torneremo dopo – è stata indubbiamente l’evento che ha aperto la lotteria della vittoria ed era del tutto imprevedibile. Così come la scelta “sbagliata” dal punto di vista della gestione della gara che è costata la vittoria a Sebastian Vettel e Daniel Ricciardo – quel gioco delle probabilità sul filo dei secondi che ha portato sia Ferrari che Red Bull a predisporre due strategie diverse per le proprie due vetture – è stata decisiva. Ma provate voi a 18 anni, senza mai essere stato prima in testa ad una gara, con una macchina mai guidata prima e con una pista difficile come Barcellona a passare 22 giri con alle calcagna uno come Kimi Raikkonen – che, per inciso ha diciotto anni, un Titolo Mondiale e duecento Gran Premi in più di te sul curriculum – tenendolo dietro con meno di un secondo di vantaggio, senza sbagliare mai, senza lasciargli uno spiraglio per passare, senza farsi avvicinare in scia nemmeno con il DRS azionato, senza un tentennamento. Insomma, per fare una cosa del genere in una situazione del genere occorre essere dei veri e propri fenomeni. Ebbene, Max Verstappen, figlio d’arte è un fenomeno. Adesso è diventato il primo olandese ad aver vinto un Gran Premio – per inciso, lui e suo padre sono gli unici due olandesi finiti sul podio nella storia della F1 – ed ha mostrato al mondo che il futuro delle corse è suo. La mente torna ad altri momenti analoghi, quelli che hanno rivelato quasi “di colpo” strepitosi talenti. Alcuni si sono confermati, diventando grandissimi. Altri si sono fermati raccogliendo meno di quanto sperato. Ma tutti, hanno segnato la storia delle corse. Ickx al Nurburgring nel ’66. Ayrton Senna a Monaco ’84. Seb Vettel a Monza nel 2008. Ieri, Max Verstappen. Che sia una sliding door della storia dell’automobilismo?
Chi ha torto fra Hamilton e Rosberg? Lauda dice Hamilton. Hamilton dice Rosberg. Toto Wolff dice entrambi o, se volete, nessuno dei due. Gli esperti si dividono. La realtà che la storia delle corse insegna è invece una sola: “i due galli nel pollaio” finiscono per ostacolarsi a vicenda. Fino alla scorsa stagione la superiorità psicologica e tecnica di Hamilton mitigava questa situazione, rendendo quasi superflua la gestione dei rapporti interni da parte della scuderia. Oggi non è più così. Rosberg, anche con l’autoritaria manovra in partenza a Barcellona con cui ha superato il compagno di squadra, ha dimostrato di aver ormai colmato il gap e si è portato a livello del compagno. Ora, giocoforza, la cosa va gestita dalla Mercedes e non sarà questione semplice. Difficile ipotizzare che le Frecce d’Argento possano perdere questo mondiale, ma certamente i suoi due piloti saranno spesso a stretto contatto e rischieranno molto. Non sarebbe la prima volta che fra i due litiganti spunta il terzo che gode, magari con una vettura “peggiore” ma senza crucci “interni” e con la squadra schierata con lui. Piquet ha vinto così il suo primo Mondiale nel 1981 e perso allo stesso modo quello dell’86, scornandosi “fra Williams” con Mansell e regalandolo a Prost. Lo stesso Raikkonen ha beneficiato del suicidio-McLaren nel 2007. E la storia, si sa, è ciclica…
Infine la Ferrari. Onestamente una mezza delusione. Inutile e quasi superfluo dire che se alla prima curva vedi fuori le due Mercedes ti aspetti che una Rossa ne approfitti vincendo. E quindi il secondo e terzo posto, sebbene assai positivi dal punto di vista della classifica mondiale, non possono essere accolti che come un mezzo insuccesso cui peraltro soprattutto Sebastian Vettel – fino ad oggi scientifico ed infallibile nell’ottenere il massimo dalle occasioni che gli si paravano davanti – non ci aveva abituato. La macchina, almeno ieri, era a livello della Red Bull che, oltretutto, almeno sulla carta non ha un motore “ufficiale”. Dire che la stagione è compromessa è certamente eccessivo, ma sicuramente non si può non riconoscere che stiamo attraversando, un po’ a sorpresa viste le aspettative di inizio stagione, il momento più delicato e difficile della gestione Arrivabene. E che occorre uscirne rapidamente per non ritornare ancora nel solito limbo.