Forse non sarà il nuovo Covid, ma il vaiolo delle scimmie desta comunque preoccupazione. Ci sono già i primi casi in Italia, infatti l’Istituto superiore di sanità (Iss) ha provveduto subito ad istituire una task force per monitorarne la diffusione, al momento modesta. Le ragioni per le quali ritenerci al riparo di una nuova pandemia sono diverse. In primis, il vaiolo delle scimmie non è un virus nuovo: lo conosciamo da decenni e si comporta con l’uomo come trent’anni fa. Si chiama così perché si diffonde soprattutto tra le scimmie e i piccoli roditori dell’Africa centrale e occidentale.



Fu osservato per la prima volta in alcuni primati di laboratorio nel 1958, mentre il primo caso umano identificato emerse nel 1970 nell’attuale Repubblica Democratica del Congo. Non è quindi nuovo come il coronavirus. «Dall’analisi genetica fatta in Portogallo è emerso che c’è un unico cespite iniziale, quindi non ci sono state modifiche del genoma e questo è molto importante», osserva a Porta a Porta il professor Matteo Bassetti, infettivologo e direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. 



VAIOLO DELLE SCIMMIE, TRASMISSIONE E SINTOMI

Inoltre, la trasmissione è differente dal Covid. Il contagio si verifica attraverso un contatto diretto e fisico, quindi con una mucosa infetta, con una vescicola o con i fluidi corporei. Anche con la saliva, se il contatto è prolungato. Inoltre, il “monkeypox”, che fa parte della stessa famiglia del vaiolo umano ed era stato eradicato tramite le campagne vaccinali del secolo scorso, è una malattia autolimitante, quindi tende a guarire in maniera spontanea, come accade con varicella e morbillo, sebbene vi sia una minoranza di casi in cui servono terapie, come l’immunoglobina vaccinica. Disponibile anche un antivirale come tecovirimat. La fonte principale di infezione sono le famigerate goccioline, quindi la trasmissione avviene tramite uno stretto contatto fisico, anche sessuale. Infatti, l’eruzione cutanea, i fluidi corporei e le croste sono particolarmente infettivi. Anche indumenti, lenzuola, asciugamani e utensili, ad esempio, se contaminati dal virus per il contatto con la persona infetta possono infettare altri. Ulcere, lesioni e piaghe della bocca possono essere infettive, quindi si trasmette anche tramite la saliva. Il virus può essere trasmesso da una persona incinta al suo feto o da un genitore infetto ad un bambino attraverso il contatto pelle a pelle.



Passiamo ai sintomi. Solitamente il vaiolo delle scimmie provoca febbre e un’eruzione cutanea irregolare, ma l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) include anche mal di testa intenso, dolori muscolari, dolore alla schiena, scarsa energia, linfonodi ingrossati, eruzione cutanea. Questa tende a svilupparsi sul viso prima di diffondersi su altre parti del corpo, come pianta dei piedi e palmo delle mani. Ma possono insorgere anche sulla bocca, genitali e occhi. I sintomi in genere durano dalle due alle quattro settimane. Neonati, bambini e persone con carenze immunitarie possono essere a rischio di sintomi più gravi e di morte a causa del vaiolo delle scimmie. A tal proposito, il tasso di mortalità per il vaiolo delle scimmie è stato storicamente compreso tra lo 0 e 11%, ma è più elevato tra i bambini piccoli. Recentemente è stato di circa 3-6%.

PERCHÈ È IMPORTANTE MONITORARLO

«Il motivo della preoccupazione non è il quadro clinico, ma il fatto che sia diventato a trasmissione interumana», spiega il professor Bassetti a Porta a Porta. Il vaiolo delle scimmie, infatti, ora ha una trasmissione da uomo a uomo, non più da animale a uomo. «Le malattie infettive sono sempre in agguato. Forse abbiamo chiuso troppo presto il libro delle malattie infettive, pensando che fossero sconfitte, ma è un problema che non è mai scomparso, anzi fanno più morti». L’infettivologo ha analizzato anche i possibili scenari. «Vedremo nelle prossime settimane un aumento importante dei numeri, avendo questa infezione una incubazione lunga, di due settimane. Forse arriveremo a migliaia di casi, ma questo non deve far paura alle persone». Anche perché le persone vaccinate sono protette. Il problema è che dal 1979 non si somministrano più vaccini anti vaiolo. «Si può pensare ad una vaccinazione degli operatori sanitari e di alcune categorie a rischio, se ce ne saranno alcune. Il vaiolo della scimmia può avere una seconda fase, viremica, che può suscitare anche delle complicanze respiratorie sistemiche». Quindi, bisogna limitare i focolai.