Si è verificato il primo caso di un cittadino italiano morto a causa del cosiddetto vaiolo delle scimmie. Si tratta di un ufficiale dell’arma dei carabinieri di 50 anni di età che si trovava in vacanza a Cuba, dove si è sentito male dopo pochi giorni dal suo arrivo. Il rapporto dell’autopsia effettuata presso l’Istituto di medicina legale conclude che la morte è stata causata da sepsi dovuta a broncopolmonite con germe indeterminato e danni a più organi. Secondo il direttore generale dell’ospedale Spallanzani di Roma la notizia non deve allarmare: “salvo casi eccezionali, la malattia decorre in modo benigno, senza complicanze gravi, con la guarigione che sopraggiunge dopo 2-3 settimane”.



È un dato di fatto però che sia l’Oms che il presidente americano Biden abbiano dichiarato il vaiolo delle scimmie emergenza sanitaria: solo a New York i contagiati sarebbero oltre 150mila, anche se le vittime sono pochissime. E c’è confusione su dichiarazioni come “comportamenti sessuali che espongono a rischio contagio” o “vaccino disponibile solo per chi è a rischio contagio” o anche “Unico modo per proteggerci è la prevenzione, e la vaccinazione da destinare subito a giovani uomini omosessuali tra i 18 e i 45 anni”.



“Bisogna stare molto attenti a non commettere lo stesso errore che si fece quando ci furono i primi casi di Aids” ci ha detto in questa intervista il Roberto Cauda, docente di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di malattie infettive al Policlinico Gemelli, cioè “ghettizzare un tipo di popolazione con comportamenti sessuali particolari. È stato dimostrato che non era così e anche adesso vediamo come il virus circoli in ogni tipo di persona, soprattuto in chi è nato dopo il 1981, anno in cui il vaiolo venne definito debellato e non si fece più uso del vaccino”.



Nelle dichiarazioni che leggiamo da parte di esponenti della sanità, ricorre l’uso della definizione “popolazione a rischio”, ma non si specifica mai chi sarebbero queste persone, come mai?

Chi è impegnato nella sanità segue le indicazioni rilasciate dal nostro ministero, in cui si parla di comportamenti sessuali a rischio. Bisogna però fare molta attenzione a etichettare le persone in base a certi comportamenti anche sessuali. Se no rifacciamo l’errore fatto ai tempi dell’Aids.

Infatti si parla di comportamenti promiscui, cioè molte relazioni sessuali tra soggetti diversi, non di un comportamento sessuale specifico.

Quello che sappiamo è che il 90% dei casi di contagio avviene in giovani maschi che hanno avuto determinati rapporti sessuali. È chiaro che la promiscuità è un comportamento a rischio, ma evitiamo di etichettare questa preferenza sessuale come un rischio. Non è il comportamento sessuale, ma l’atto sessuale non protetto e non sicuro a essere a rischio. Ripeto, non facciamo l’errore di ghettizzazione fatto inizialmente per l’Aids che si è rivelato appunto un errore. I casi a cui assistiamo sono della più disparata ragione, non si prende il vaiolo per le proprie scelte sessuali. A Parigi è risultato infetto addirittura un cane.

Appunto. In Texas addirittura è risultato infetto un bambino di due anni che non andava neanche all’asilo e non aveva contatti con altre persone o bambini. I medici non sanno spiegarsi il motivo del suo contagio.

È la riprova di quello che dicevo. Non dobbiamo focalizzarci solo su certi comportamenti. Il numero dei vaccini in questo momento non è elevato anche perché non è giustificata una vaccinazione di massa. Secondo lo studio pubblicato nel New Haven a cui oggi facciamo riferimento c’è un rischio secondo determinati comportamenti e quindi su base volontaria le persone possono accedere al vaccino. Secondo una narrazione sbagliata questo bambino del Texas non avrebbe mai dovuto ammalarsi e correre alcun rischio: è la dimostrazione che il virus circola.

Il presidente americano visto l’alto numero di casi ha dichiarato l’emergenza nazionale: esiste un rischio di pandemia?

Assolutamente no, almeno al momento, non è il Covid. Bisogna però fare informazione e ridurre i comportamenti a rischio. Non si risolve il problema solo etichettandolo a determinate categorie, si fa un errore gravissimo. Bisogna cercare di identificare rapidamente le persone infette, mettendole in isolamento.

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