Sono trascorsi quasi 9 anni dalla morte di Valentina Salamone, la giovane 19enne di Adrano, in provincia di Catania, trovata senza vita, impiccata, in una villa il 24 luglio del 2010. Il caso sarà affrontato questa sera dalla trasmissione Quarto Grado che concentrerà l’attenzione sulla battaglia messa in atto dalla famiglia della vittima, grazie alla quale siamo ormai giunti ad un passo dalla meritata giustizia. Sin dai primi momenti, la morte di Valentina fu considerato un caso di suicidio. Una tesi, questa, alla quale la famiglia Salamone non ha mai voluto credere battendosi fino in fondo per la ricerca della verità. Nei giorni scorsi, il sostituto procuratore generale, Sabrina Gambino, come rammenta CataniaToday, ha chiesto la condanna all’ergastolo per Nicola Mancuso, l’uomo di 33 anni accusato dell’omicidio della 19enne. Una richiesta giunta nell’ambito della sua requisitoria, in quelle che sono le battute finali del processo che si sta svolgendo davanti alla Corte d’Assise di Catania. Un processo giunto dopo una prima richiesta di archiviazione del caso per suicidio e dopo quanto emerso dalle perizie dei Ris che trovarono tracce di sangue dell’uo9mo sotto le scarpe della vittima. Rinviato a giudizio il 19 ottobre 2016, adesso si prepara all’ormai imminente sentenza.



VALENTINA SALAMONE: NICOLA MANCUSO RISCHIA L’ERGASTOLO

Nicola Mancuso, sposato, aveva una relazione con la giovane Valentina Salamone. Rispetto al suo omicidio, però, si è sempre definito innocente ed estraneo ai fatti. Dopo essere stato arrestato nel marzo del 2013, fu poi scarcerato sette mesi dopo dal Tribunale del Riesame. Attualmente si trova in carcere dove sta scontando una condanna definitiva a 14 anni di reclusione con l’accusa di traffico di droga nell’ambito di indagini della squadra mobile di Catania e per l’ordinanza cautelare dell’operazione ‘Adranos’. Ora, nei confronti dell’imputato, la pg ha chiesto il massimo della pena, ovvero l’ergastolo. “Nessun elemento di attenuazione della pena può essere riconosciuto – afferma Sabrina Gambino – non sotto il profilo soggettivo attesa la caratura criminale del Mancuso, non sotto il profilo oggettivo attesa la pervicacia mostrata nell’inscenare il macabro suicidio per allontanare ogni ipotesi investigativa”. Le simulazioni dei Ris si sono rivelate fondamentali affinché il caso venisse riproposto all’attenzione della magistratura e proprio quelle tracce di sangue sugli indumenti della vittima, ed ancor di più quella sotto la scarpa sinistra, rappresenterebbero “la firma lasciata dall’autore dell’omicidio sul luogo del delitto”.

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