“Un passaggio in zona rossa per noi sarebbe una tragedia”. Non è un’ipotesi peregrina, quella fatta dal presidente della Valle d’Aosta, Erik Lavevaz. La sua regione da lunedì scorso è la sola in Italia a essere passata in zona arancione, ma visto l’andamento dei dati, a meno di provvidenziali frenate del Covid, già si prevede a breve il colore potrebbe diventare proprio il rosso. Ma se in arancione sostanzialmente non ci sono cambiamenti per quanto riguarda le regole che disciplinano l’accesso agli impianti di risalita (riservato ai soli possessori di super green pass), in rosso gli impianti si fermerebbero, e quindi gli alberghi si svuoterebbero e i turisti evaporerebbero, azzerando quel 17% di Pil regionale che il settore normalmente vale.



Serve ricordare l’equazione stabilita per la scala colori che classifica l’incidenza pandemica. Gli indicatori su cui si decide il cambio di zona sono tre: l’incidenza settimanale di casi Covid ogni centomila abitanti; l’occupazione dei posti letto in area medica; e quella dei posti in terapia intensiva. Sul numero di casi c’è ben poco da dire: quel valore è elevato in tutt’Italia. Per l’ingresso in zona gialla le soglie fissate sono del 10% in terapia intensiva e del 15% in area medica, soglie che per il passaggio in zona arancione salgono rispettivamente a 20% e 30%, e in zona rossa a 30% e 40%.



Ora, il bollettino della Valle d’Aosta conta 496 decessi complessivi, 8 ricoveri in terapia intensiva (sul limite fissato a 10: dopo scatta il rosso), 5996 positivi di cui 5919 in isolamento domiciliare. Il fatto è che per una popolazione di poco più di 120 mila anime c’è un solo ospedale pubblico regionale, il Parini di Aosta, 330 posti letto, di cui 36 di day hospital, e tre reparti Covid attivati. Ma non basta: le terapie intensive sono limitate, ed è proprio il dato sulla loro saturazione a decretare il colore dell’intera ragione. “Tanto che – dice il consigliere regionale Marco Carrel, capogruppo di Pour l’autonomie – avevamo in più occasioni proposto la creazione di nuove intensive in una struttura prefabbricata o in container da allestire in fretta, proprio per scongiurare quel parametro limitante. Ma non s’è fatto nulla, malgrado vi siano state risorse sostanziose messe a disposizione dallo Stato, e nonostante l’Ausl della Valle abbia chiuso il suo bilancio con 4 milioni di avanzo”.



I container e i prefabbricati si dice siano stati immolati sull’altare del nuovo ospedale, che però vedrà la luce non prima di una decina d’anni, mentre le strutture mobili avrebbero potuto essere pronte in pochi mesi. “È anche vero, però – dice Michele Martinet, sindaco di Gressan – che è azzardato strutturare una situazione variabile e si spera transitoria. Già si sono aumentati i posti in terapia intensiva e preintensiva dell’ospedale, passati da 20 a 33: per una realtà come la nostra ipotizzare altro è difficile. Bisogna anche sottolineare che l’85% dei letti occupati in simili reparti superspecializzati ospita pazienti non vaccinati. Una follia”.

A questo punto, per cercare di mitigare l’incidenza sui dati, nelle facoltà dell’assessorato regionale alla Sanità (che resta in ticket con le Politiche sociali, malgrado ne fosse stato chiesto lo scorporo) resta la verifica del possibile aiuto di strutture private. In tutta la regione, però, non ne esiste nessuna attrezzata per terapie intensive. Si può cercare quindi di aumentare la disponibilità di semplici posti letto Covid, magari convenzionando nuovamente (come fu fatto in passato) una clinica già accreditata come la Saint Pierre. Nel frattempo, si intensifica la richiesta di revisione del sistema dei colori. Come continua a proporre il presidente Lavevaz: “La nostra regione rischia di chiudere per soli 2 o 3 pazienti positivi ricoverati. Si tratta di un rischio tutt’altro che remoto, considerato che durante la stagione turistica la popolazione presente nella regione triplica”. Effettivamente, in stagione la Valle passa da 120 mila a oltre 400 mila presenze, con i turisti, e nel Covid hotel allestito non c’è nemmeno un valdostano.

Tutti concordano, comunque, sul gravissimo danno che il passaggio in zona rossa causerebbe. “Gli impianti fermi vorrebbero dire anche strutture ricettive vuote – dice Jean Paul Tournoud, direttore dell’Osservatorio turistico della Valle d’Aosta -: parliamo di circa 1200 imprese, tra hotel e attività extralberghiere ufficiali. Uno stop che farebbe franare i dati positivi che invece quest’anno stavamo registrando, con il periodo tra Natale e Capodanno che ha raggiunto i livelli del 2019. Da adesso in avanti invece le prenotazioni sono scarse, gravate dalle incertezze: possiamo solo sperare nell’ormai abituale last minute”.

“Fermarsi adesso – aggiunge Mathieu Ferraris, sindaco di La Thuile -, proprio quando la situazione generale è sicuramente migliorata, sarebbe una tragedia ancora peggiore rispetto all’anno scorso, quando impianti e strutture non avevano nemmeno aperto. Quest’anno la stagione invece è iniziata, e ogni impresa ha attivato forniture, ha contrattualizzato personale e via dicendo. Bloccarsi adesso vorrebbe dire affrontare costi elevati e zero incassi”. Per di più, è noto come una valutazione sul sistema a colori per le regioni sia già in calendario tra venti giorni: quindi adesso lo stop sarebbe di un paio di settimane, poche ma probabilmente letali, anche per gli strascichi psicologici che comunque dissuaderebbero il ritorno di potenziali turisti.

“Insomma, io invito a non parlare di zona rossa, e non per scaramanzia – dice Corrado Giordano, direttore degli impianti Espace San Bernardo -, ma perché mi sembra che il picco di contagi sia stato raggiunto. Qui la stagione sta proseguendo bene, anche grazie alla presenza di molti stranieri, come i 650 controllori di volo in vacanza, arrivati da tutto il mondo. Loro sono abituati a garantire la sicurezza dei viaggiatori, e qui evidentemente hanno trovato ambienti e procedure che garantiscono una medesima tranquillità”.

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