LA CRITICA DELL’EX PREMIER MANUEL VALLS SULLA RIFORMA PENSIONI IN FRANCIA

Forse i meno avvezzi alla politica in Francia faranno fatica a ricordare che Manuel Valls ed Emmanuel Macron fino al 2016 erano compagni di Governo sotto la Presidenza socialista di Francois Hollande: ebbene oggi, con la Francia messa a ferro e fuoco da settimane per la contrastatissima riforma delle pensioni (specie dopo la forzatura del Governo Macron-Borne di provare la strada che aggira il passaggio in Parlamento), l’ex Premier Valls politicamente “randella” l’ex collega nei metodi e nei modi usati.



Intervistato dal “Corriere della Sera” dopo l’uscita dell’ultimo saggio “Il coraggio guidava i loro passi” – dove l’ex premier socialista riflette sull’eredità dei grandi della Storia – Valls critica la riforma pensionistica di Macron: «Coraggio non significa brutalità. Certo, il sistema delle pensioni andava e va riformato. Ma non in questo modo. Io avrei preferito un sistema a punti, allungando gli anni di contributi». Il piano “dei punti” era originario di Macron e dei socialisti, poi però rimasto “monco” durante il Governo Hollande e ora rivoluzionato dalla nuova legislatura: «Era il piano nostro, della sinistra socialdemocratica, quando eravamo al governo, era il piano del sindacato riformista Cfdt, e anche quello al quale pensava Macron durante il suo primo mandato. Poi ha cambiato idea».



VALLS: “MACRON COME THATCHER? NO, QUI NON C’È STATO ASCOLTO”

Manuel Valls giudica piuttosto più sensato accettare il passaggio della pensione da 62 a 64 anni con però tutto un criterio e una metodologia diversa da quanto affrontato da Macron in questi mesi: «per ragioni finanziarie e demografiche lo avrei votato», ma il Governo «ha preferito ricorrere all’articolo 49.3 ed evitare il voto, in un contesto di grandi tensioni sociali, inquietudine dopo il Covid, inflazione e difficoltà alla fine del mese. Avendo contro tutti i sindacati, pure quelli riformisti, e nel pieno di una crisi morale del Paese. È pericoloso giocare con queste cose in una democrazia come la nostra». Valls parla di “crisi morale” in Francia legando il tema della riforma pensioni anche ad un discorso più generale e generazionale: «viviamo un paradosso: l’economia va bene, attiriamo investimenti stranieri, la disoccupazione non è mai stata così bassa, eppure i francesi sono scontenti. La critica delle élite e l’avanzata dei populismi di destra e di sinistra ci accomuna agli altri popoli, ma da noi prende una forma particolare perché siamo un Paese centralizzato, dove le istituzioni sono forti».



Sempre secondo quanto dichiarato al “Corriere”, l’ex Premier Valls “risolve” tale paradosso nello scontro interno alla popolazione che potrebbe applicarsi più o meno perfettamente anche ad altre realtà ben oltre la Francia: «assistiamo a uno scollamento inquietante, quello tra i grandi problemi epocali che stiamo vivendo e le preoccupazioni, pur legittime, dei francesi. Da una parte la geopolitica, la guerra in Europa, il conflitto tra democrazie e autoritarismi, e ancora la transizione energetica, il lavoro e l’immigrazione; dall’altro, i francesi che invece si concentrano sul potere d’acquisto e il rifiuto di andare in pensione due anni dopo». La responsabilità di tale scollamento, secondo Valls, resta però dei politici e in particolare di Macron in questo caso: «Il presidente Macron, che è un uomo di grandi qualità politiche e intellettuali e che ha avuto il mio voto, si è fossilizzato sui 64 anni e non riesce a offrire ai francesi un senso complessivo». Quello impostato da Macron con il popolo francese sulle pensioni, secondo l’ex Premier socialista, non ha nulla a che vedere con il “braccio di ferro” della Thatcher nel 1985 con i minatori britannici: «Allora il Regno Unito era sull’orlo della bancarotta, la Francia di oggi è diversa. Che vada in piazza pure Laurent Berger, il leader sindacale riformista, indica che non c’è stato ascolto. Toccare le pensioni è sempre difficile, bisogna farlo con l’appoggio di almeno una parte della società. Riformare si deve, ma non contro tutti. Non si può imporre una riforma giudicata ingiusta, e senza inserirla in una visione più ampia».