Entrato nelle Brigate Rosse, Valter Di Cera nel 1979 avrebbe dovuto sparare ad una volante per dimostrare il suo impegno. Ma non riuscì a portare a termine la sua missione per un moto di coscienza, che si trasformò nella fede che lo ha accompagnato in tutto il suo percorso di vita. Ne ha parlato nella nuova puntata di “A sua immagine“, ripercorrendo le tappe della sua conversione. «Eravamo lì con questo capo delle Brigate Rosse, insieme ad altri militanti, semplicemente per sostituire le targhe ad un’automobile, quindi di per sé un’operazione molto semplice apparentemente. Certo, in caso di arrivo delle forze dell’ordine era sempre prevista una reazione armata tragica che prevedeva per protocollo brigatista l’abbattimento di chiunque si avvicinasse al nucleo operativo». Quel pomeriggio arrivò effettivamente un’auto della polizia, quindi gli fu ordinato di sparare. «Avrei potuto farlo, ma in quel momento la mia coscienza, guardando uno di questi uomini che si stava avvicinando, mi ha spinto a non farlo», racconta Di Cera. «Non l’avrei mai fatto, non potevo farlo».



Quindi, è andato contro un ordine. Si è trovato in una frazione di secondo di fronte ad un bivio e ha fatto la sua scelta. Lo stesso Valter Di Cera racconta di essere cresciuto in un ambiente cattolico, infatti al liceo aveva fatto parte del raggio di Comunione e Liberazione. Quando aveva 18 anni, però, avvenne il reclutamento delle Brigate Rosse. «I reclutamenti sono avvenuti prevalentemente per base amicale. Il linguaggio di quegli anni, soprattutto il linguaggio delle Brigate Rosse, era un linguaggio stereotipato. Quindi erano degli schemi abbastanza rigidi, che comunque riportavano all’individuazione di nemici, cosiddetti nemici di classe, erano sempre gli stessi questi schemi».



VALTER DI CERA “HO VISTO PERSONE DAGLI OCCHI VUOTI…”

Valter Di Cera ne ha parlato nel suo libro “L’infiltrato di Dio“, in cui racconta la sua conversione e parla di Lucifero che si è impossessato di quelle persone, che agivano come automi conquistati dal male. «Ho visto uomini e donne dagli occhi vuoti. Erano persone assolutamente normali, anche brave persone, però entrate in questa dinamica dell’ideologia che depersonalizza, erano posseduti dal male», racconta a “A sua immagine“. L’ex brigatista fu sospettato di essere un infiltrato. «Fui messo sotto inchiesta da alcuni capi, quindi da un nucleo ristretto di dirigenti della Brigate Rosse». Fu una fase molto delicata, in cui ha rischiato «attenzioni violente» da parte dell’organizzazione.



Valter Di Cera decise di uscire dalle Br, ma non era affatto semplice. «Sono trascorsi mesi prima che io sia riuscito sostanzialmente a uscirne fuori e a conquistare la libertà, la libertà da quell’organizzazione. Ora, il fatto interessante è che in questo periodo io maturai una scelta chiarissima con me stesso, che era quella di distruggere quest’organizzazione, perché chiaramente lì vedevo il male». La svolta arrivò durante il servizio militare nella divisione Folgore. Cominciò a collaborare e gli furono concessi gli arresti domiciliari. «C’era bisogno di trovare un luogo sicuro ma nessun luogo era sicuro in quel momento, perché le Brigate Rosse ci cercavano un po’ tutti quelli dell’antiterrorismo e così padre Adolfo Bachelet, che nel frattempo avevo conosciuto, ebbe questa idea che mi cambiò la vita». Infatti, Valter Di Cera per tre anni è stato in convento.

VALTER DI CERA, IL RUOLO DELLA FEDE NELLA SUA RINASCITA

Dal 1982 Valter Di Cera iniziò a collaborare con le istituzioni proprio per combattere il terrorismo. Un’avventura durata una decina d’anni che ha portato all’arresto di centinaia di brigatisti. Tra questi c’è Antonino Fosso, detto il Cobra, un giovane militante che un giorno lo riconobbe e provò ad ucciderlo. «Si aprì il giubbotto per estrarre la pistola, ma in quel momento, ed è qui veramente la grazia, arriva un furgone portavalori perché lì vicino c’era una banca». Riuscì a scappare e a mettersi in salvo. Il giorno dopo, però, riuscirono ad arrestare Fosso. «Aveva tutti gli appunti che denotavano che l’organizzazione che praticamente dirigeva stava in procinto di compiere di un attentato e capimmo che l’obiettivo era l’onorevole De Mita. Quindi fu sventato». Valter Di Cera collaborò con la squadra Chiappi fino al 2014, poi si costruì una famiglia e ora fa tanto volontariato.

Rispondendo alle domande dei ragazzi presenti in studio, Valter Di Cera spiega che «questo è un momento sicuramente delicato perché in Italia quegli anni, gli anni 70, non sono stati sanati. In quegli anni ci fu un conflitto che coinvolse centinaia di migliaia di giovani. A un certo punto bisogna un po’ riprendere questo discorso della riconciliazione anche oggi». In tutta la sua storia ha sicuramente un ruolo fondamentale la fede: «Mi ha aiutato. La fede è stato quell’elemento che veramente mi ha dato la possibilità di tornare, la forza di tornare a essere me stesso». Ai giovani consiglia di non cadere nell’illusione dell’ideologia, soprattutto se è quella della divisione. «Anche se si vuole partecipare alla vita sociale, come giusto che sia, bisogna avere sempre la razionalità come punto di riferimento e soprattutto la democrazia come punto di riferimento».