C’è un unico modo per presentare Vanishing Point, l’album che Mauro Campobasso e Mauro Manzoni hanno da pochi pubblicato per la Parco della Musica Records ed è spuntare le chiome semantiche del viaggio in motocicletta. Già, perché questo album è il racconto di un lungo tragitto su due ruote, strumenti in spalla, compiuto in Germania e paraggi dai due musicisti nel 2019: città e foreste, autostrade e silenzi, frammenti di impero austroungarico e dissolvimento delle repubbliche socialiste dalla cortina che fu. E poi la strada e la strada ancora a tessere spazi visivi e interiori che diventano musica, tra diversioni, rettilinei, fuori programma e ritorni all’idea.



Campobasso, tarantino di nascita ma bolognese d’adozione, con la sua chitarra e propaggini elettroniche varie, e Manzoni, ai sassofoni, scrivono e suonano musica per motocicletta. Privandola, ma solo apparentemente, dei suoi referenti colti e popolari più immediati, passando quasi un’ora di album a illustrare come il free, l’elettronica, il concretismo contemporaneo, il jazz modale ed even possano ricondursi ad un unicum di ispirazione e fluttuazione dentro i suoni. Non l’ostinazione sperimentale di un Aviatore Dro, quindi, con le sue rombanti motociclette futuriste in scena a scimmiottare Stravinskij e neanche l’immaginario corrivo di un tatuatissimo Motorcycle Club da Saxon o Judas Priest.



I due, oltre a condividere la vita al servizio della musica, coltivano una passione di vecchia data per le due ruote, specie se a trazione BMW. Sembra così che, chiacchierando davanti a un caffè di suoni e progetti, si siano risolti per un viaggio da Bologna a Berlino con un canovaccio di idee e parti da riempire lungo la strada da registrare all’arrivo (missione effettivamente compiuta tra il 1 e il 2 agosto). Ora, chiunque si trovi a guidare per ore sopra una sella con il vento contro sa che è più che probabile entrare in una specie di trance, il distacco da un pensiero razionale e concatenato; se in qualche parte dell’emisfero, insomma, si resta perfettamente concentrati alla guida, tutto il resto inizia a vagare in uno strano mix di profumi, visioni laterali veloci, suoni. Un unicum multisensoriale che, in modo sorprendente, Campobasso e Manzoni riescono perfettamente a tradurre in un linguaggio musicale perennemente alla ricerca di ulteriori svolgimenti possibili. Senza indulgere a virtuosismi o abbellimenti ausiliari, i brani di Vanishing Point hanno una compattezza narrativa di tutto riguardo, con ritmiche spesso composte, poliritmiche e impianti armonici modali che difficilmente si obbligano a cadenze di manuale. E’ proprio nella modulazione delle dinamiche e nel rilancio espressivo il miglior merito dell’album, che non esita anche a ripercorrere tanto il linguaggio free (come nella bellissima “Fast Biker”) quanto la soluzione melodica (Sentimental Dissidence, River’s Bed), la cui lentezza è lo specchio in cui il suono trova la sua piena rotondità nello spazio.



Vanishing point, che verrà presentato proprio alla Casa del Jazz di Roma il prossimo 30 giugno nel cartellone del Summertime Festival, è l’occasione per ritrovarsi ad ascoltare musica colta (Berlin Underground, su tutte, dove rimbalzano impianti elettronici da Stockhausen fino alle atmosfere da romanza del Winterreise di Schubert), senza averne mai la percezione, divertendosi piuttosto, passando dai testi visionari dei brani (scritti da Costanza Alegiani e Marta Raviglia) alle atmosfere ipnotiche di loop e sequenziatori di fasi. Storie di vita, amicizia e motocicletta attraverso l’Europa, recita il sottotitolo dell’album, un climax discendente che forse meglio di ogni altra parola riassume il senso (importante) di musica nuova, di cui s’ha forte, fortissimo bisogno.