Variante inglese: facciamo chiarezza. Qual è ad oggi lo stato dell’arte? Cosa sappiamo circa la sua contagiosità e letalità? Quali le sue mutazioni? E l’efficacia dei vaccini? Quali sono le considerazioni e gli elementi di rischio da tenere presenti in rapporto alla chiusura o apertura delle scuole? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Carabelli, ricercatore nell’Università di Cambridge (Uk) e Research Lead per il Covid-19 Genomics Uk (Cog-Uk) Consortium, dove dirige un gruppo di ricerca che si occupa di identificare e caratterizzare nuovi varianti del Sars-CoV-2.
Facciamo chiarezza sulla variante inglese. Cosa sappiamo ad oggi?
Che ci siano dei dati legati all’aumento delle infezioni è oggettivo e che ci sia un aumento della trasmissibilità del virus sembra certo. Si parla di un aumento tra il 30 e il 70%. Non pensiamo però che ci sia un adattamento della variante o del virus in generale verso un certo gruppo d’età. Pare che questa variante porti ad un aumento nel rischio di ospedalizzazione. Abbiamo pochissimi dati sulla severità della patologia nell’infezione dei bambini, perché il numero dei bambini che presentano la malattia con sintomi severi è ridotto, quindi è difficile su queste basi giungere a conclusioni. È vero però che abbiamo registrato più casi positivi anche nel gruppo dei bambini, ma questo è legato all’adattamento del virus all’uomo in generale più che a un gruppo ben preciso di età. Questo è lo state dell’arte al momento.
Cosa sappiamo invece sull’efficacia dei vaccini in rapporto alla variante?
Dal punto di vista del ruolo immunogenico, sappiamo che questa variante è neutralizzata dai sieri prelevati da individui che hanno ricevuto il vaccino. Questo significa che non dovrebbero esserci problemi con i vaccini.
Lo sappiamo su Pfizer?
Lo sappiamo su Pfizer e Moderna con esperimenti in laboratorio, e per Novavax e Astrazeneca con i clinical trials. Le evidenze che abbiamo in questo momento ci dicono che i vaccini saranno efficaci nel prevenire le morti anche nel caso delle varianti. Questa è la cosa più importante. Perciò non mi stancherò di dire che è opportuno vaccinarsi. Si parla però anche di una diminuzione di efficacia dei vaccini per la variante identificata in Sudafrica.
Questo cosa implica?
Che dobbiamo monitorare con attenzione queste varianti e cercare di capire il prima possibile in laboratorio la combinazione di mutazioni presenti in esse e la funzione di ogni mutazione. La cosa positiva è che il virus sembra stia mutando mostrando le stesse mutazioni anche in varianti indipendenti. Pensiamo di essere di fronte al fenomeno di una convergenza evolutiva. Il virus ci mostra alcune vie preferite nel modo in cui evolve. Questo è importantissimo se vogliamo pensare ai vaccini di prossima generazione.
La variante sudafricana ha delle mutazioni in comune con la inglese?
Sì, diverse mutazioni, tra cui la N501Y e altre mutazioni in geni diversi dal gene per la proteina Spike di cui sappiamo veramente poco. Recentemente abbiamo osservato l’emergere anche della E484K in aggiunta alle 17 mutazioni che definiscono la variante inglese. È una mutazione importante, perché in laboratorio non viene neutralizzata da alcuni anticorpi monoclonali e dai sieri prelevati da pazienti che hanno superato il Covid. È una mutazione che sta emergendo indipendentemente in diverse varianti. L’abbiamo nella variante identificata in Sudafrica, in quella del Brasile, e ora anche in quella inglese.
La mutazione è sempre sulla proteina Spike?
Sì, la B.1.1.7 ha nella proteina Spike 8 mutazioni di cui 6 sono cambi di amminoacidi e 2 sono delezioni, “tagli” di uno o due amminoacidi, che vengono meno. La proteina sembra avere un certo grado di “plasticità” tollerando modifiche strutturali significative. Visto come sta mutando il virus, soprattutto nella proteina Spike, proteina che viene bersagliata dai vaccini, è abbastanza plausibile che faremo prima o poi i conti con lo scenario di una variante per cui i vaccini non saranno efficaci. La vera domanda è quando.
Riguardo all’apertura o chiusura delle scuole: c’è un più elevato pericolo legato alla variante inglese?
I risultati della sorveglianza rispetto agli outbreaks e alle infezioni legate alle scuole in realtà suggeriscono che l’alto rischio di infezioni, o comunque lo scoppio dei focolai, sia principalmente collegato all’aumento delle infezioni nella comunità. La scuola non è un driver, non è l’origine, sembra essere piuttosto una cartina tornasole di quello che avviene a livello della comunità.
Il rischio è che i ragazzi s’infettino e contagino i familiari a casa?
Io penso che il punto sia questo, dobbiamo distinguere i campi: la biologia del virus e le misure preventive che mettiamo in atto. Il virus si trasmette più facilmente, e infettando più persone il rischio di avere più ospedalizzazioni e più morti aumenta. Ma le misure per garantire la sicurezza sono sempre le stesse. Per questo la differenza nelle scuole la fanno le strutture e l’organizzazione per la sicurezza.
Ci può dare altri dettagli?
Sicuramente ci possono essere misure in atto a livello delle scuole, come la ventilazione, il social distancing, il fatto che gli studenti vengano indirizzati a lavarsi le mani con frequenza: sono fattori che vanno ad incidere sulla riduzione delle trasmissioni. Dopo un anno di pandemia non possiamo pensare che possiamo farne a meno.
Ci sono mutazioni nella variante che contano più di altre?
Fra le mutazioni della Spike ce ne sono alcune degne di nota: la 501Y, che è comune anche in altre varianti, è importantissima perché sembra aumentare l’affinità del virus per il ricettore ACE2, che è espresso sulle membrane di alcune cellule umane, quindi facilita l’interazione del virus con le cellule stesse. Però in realtà c’è una mutazione di cui i giornali parlano poco e che secondo me è fondamentale.
Quale?
La P681H, è una mutazione che avviene in un sito che si chiama “furin cleavage site“. È il sito di taglio di un enzima, TMPRSS2: un enzima che alcune cellule umane producono e che porta al taglio della proteina Spike in due subunità, la S1 e la S2. Questo taglio sembra aver portato un vantaggio al virus.
In che modo?
Permettendo al virus d’infettare con un sistema che non prevede endosomi tardivi maturi, quindi evitando proteine antivirali. Non sembra un caso che negli ultimi mesi una serie di mutazioni in questo sito, come la P681H, siano emerse in tante varianti (non solo quella inglese). Esperimenti in laboratorio ci permetteranno di capire meglio che tipo di effetto abbiano sul virus. Il virus presenta mutazioni con ruoli diversi. Alcune mutazioni, come la N501Y, aumentano l’affinità di legame per il ricettore ACE2, altre avvengono nel furin cleavage site. La cosa interessante è che solo quando sono in combinazione permettono un aumento della trasmissibilità.
Perché?
Spero di risentirla quando avremo i dati per poterle dire di più.
(Emanuela Giacca)