La variante inglese, che ha origine in Kent, è del 30-35% più mortale dei normali ceppi Covid. Lo rivelano ricercatori di Londra, in particolare Patrick Vallance, capo consulente scientifico. L’allarme è scritto nero su bianco nel documento pubblicato dalla London School of Hygiene and Tropical Medicine (LSHTM), secondo cui la variante VOC 202012/01 ha incrementato il rischio di morte del 35%, senza però chiarire il motivo per il quale sia più letale. Stando a quanto riportato dall’Evening Standard, lo studio in questione cita «alcune prove» secondo cui potrebbe dipendere da una carica virale molto più alta. La questione comunque è stata affrontata anche da Smriti Mallapaty su Nature, che cita anche altre ipotesi.
La variante B.1.1.7 di Sars-CoV-2 potrebbe essere più mortale perché si diffonde di più e più velocemente, quindi raggiunge un maggior numero di persone vulnerabili. C’è anche chi ipotizza il fatto che la mortalità possa aumentare perché la rapida diffusione porta ad un incremento del tasso di occupazione degli ospedali e quindi ad una maggiore pressione che li manda in crisi.
SCIENZIATI UK “VARIANTE INGLESE PIÙ MORTALE”
In termini concreti, ciò vuol dire che per gli uomini che hanno tra i 70 e gli 84 anni il rischio di morire per Covid aumenta di circa il 5% se contraggono la vecchia variante a oltre il 6% con la nuova. Per gli uomini di almeno 85 anni si passa dal 17% al 22%. Ma l’analisi citata da Nature ritiene che la variante inglese, così come le altre, sia più letale delle versioni precedenti di Sars-CoV-2 anche per le altre fasce d’età, ma anche a prescindere dal genere e le etnie. I risultati di questo studio sono coerenti con altri lavori preliminari riassunti in un documento pubblicato dal New and Emerging Respiratory Virus Threats Advisory Group il 22 gennaio.
Un team di ricerca dell’Imperial College di Londra ha infatti scoperto che il tasso medio di mortalità è del 36% più alto per le persone infettate dalla variante inglese. Ci si aspetta però ulteriori indagini, anche in relazione ad eventuali comorbidità non citate in questi studi e ai decessi registrati in ospedale, dove invece non si registrano differenze.