Nel fine settimana a Milano è accaduto qualcosa di assolutamente imprevisto e improvviso. Un qualcosa che nessun algoritmo predittivo avrebbe potuto segnalarci con largo anticipo. Si tratta dei festeggiamenti per la vittoria del campionato da parte dei tifosi dell’Inter. Fuor di scherzo, è del tutto evidente che ciò che salta all’occhio dalle immagini di domenica pomeriggio provenienti da piazza Duomo, prima ancora che gli assembramenti con più o meno dispositivi di protezione individuali indossati dalla folla festante, è la totale sottovalutazione di un evento ampiamente prevedibile.
E prevedibile per due ordini di ragioni: l’annunciata vittoria della squadra meneghina (intuibile anche per banali ragioni di punteggi in classifica, facilmente reperibili in rete in qualunque momento della giornata se dotati di un qualsivoglia dispositivo); il desiderio da parte di un sempre maggior numero di persone, dopo oltre un anno di pesanti restrizioni, di tornare a festeggiare in piazza e condividere passioni come quella per la propria squadra di calcio.
Non si tratta di fare i tuttologi e discettare sulla rete di cosa avrebbe dovuto e potuto fare il Sindaco, come il lunedì mattina nel bar tutti si improvvisano allenatori e analizzano le partite della domenica. Si tratta di chiedersi pubblicamente come sia stato possibile non porsi il problema della gestione dei festeggiamenti per la vittoria dell’Inter in un momento in cui la città si trova in fascia gialla e quindi non vieta spostamenti, né manifestazioni di piazza come abbiamo visto nel caso delle proteste sotto la sede di Regione Lombardia (avvenute addirittura in piena zona rossa) o nel caso della sensibilizzazione per la loro condizione da parte dei lavoratori del mondo dello spettacolo con il presidio “bauli in piazza”.
È per questo che stupisce ancora di più la reazione stizzita delle autorità cittadine alle critiche, quasi come se fossimo di fronte ad una lesa maestà. Le critiche, quando non pretestuose, non hanno mai sottinteso la necessità di reprimere legittimi (e – vivaddio! – a lungo sperati) momenti di gioia collettiva. Si tratta invece di sottolineare la necessità di pensare una ripartenza della quotidianità pur sempre in una situazione di pandemia.
Le vaccinazioni hanno imbroccato una strada buona. I cittadini da più di un anno si attengono responsabilmente alle disposizioni ed ai pesanti condizionamenti imposti da chiusure e didattica online. Non si tratta quindi di pretendere la chiusura di piazze, o far uso di manganelli ed idranti. Si avverte piuttosto la necessità di pensare la gestione in un contesto segnato dalla pandemia e dai suoi strascichi, e non sappiamo ancora per quanto, di situazioni ad alto rischio vulnerabilità per la presenza in un luogo aperto di più persone tra loro ravvicinate. In altri Paesi europei ormai da mesi si sono organizzati addirittura concerti con un vasto pubblico dotato di mascherine e tamponi rapidi per accedere alle aree interessate.
A Milano siamo già al terzo episodio che offre la percezione di totale impreparazione e mancanza di controllo della città. In principio furono i navigli presi d’assalto in occasione dell’inizio della fase due (al netto di fotografie rubate col grandangolo), con un sindaco che tanto tuonò sui social da farsi poi immortalare il giorno successivo a presidiare come un vigilantes qualunque la zona stessa. Successivamente fu la volta del rave party abusivo in Darsena.
Il fatto è che amministrare una metropoli come Milano non è facile. Tanto meno in mezzo ad una pandemia. Non sono certo i video-rimbrotti su Instagram che risolvono i problemi. Né gli appelli al buon cuore a mezzo social – come l’invito lanciato qualche giorno fa da Sala agli espositori del Salone del mobile a non guardare solo i propri bilanci e a non rinunciare a questo importantissimo evento, ma senza minimamente impegnare il Comune a contribuire ad abbassare i costi del sistema ricettivo milanese per esempio riducendone tasse e tariffe magari a scapito proprio del suo bilancio. Non basta dirsi manager competenti per differenziarsi dai populisti incompetenti. Se poi, mentre la piazza principale del centro vede tifosi assembrati, il sindaco si fa pure immortalare su Instagram intento a raggiungere Robecco in sella alla sua bici, l’effetto è uguale a quello di #Milanononsiferma all’inizio del lockdown. Non tutto è perduto, però. C’è ancora tempo per pensare e gestire la fine del campionato. Speriamo solo che a Palazzo Marino abbiano segnato la data sul calendario.