Qual è l’origine della variante Omicron? Sono tre le ipotesi degli scienziati, ma quel che sembra certo è che non si sia sviluppata da una delle precedenti varianti di preoccupazione, come Alfa o Delta, in quanto è molto diversa dai milioni di genomi di Sars-CoV-2 condivisi in questi mesi. In base al suo profilo genetico, la virologa Emma Hodcroft dell’Università di Berna, come riportato da Science, ipotizza che possa risalire addirittura a metà 2020 e che si sia evoluta sottotraccia in parallelo alle altre varianti. «È difficile trovare un suo parente stretto, probabilmente si è discostata presto dagli altri ceppi». Dunque, la prima ipotesi è che la variante Omicron sia circolata in una popolazione con scarsa sorveglianza virale e nessun sequenziamento.



La seconda, come ricostruito dal Corriere della Sera, è che abbia avuto origine da un paziente immunodepresso incapace di sconfiggere il Covid. La terza è una specie di zoonosi inversa: il coronavirus potrebbe essersi evoluto in una specie non umana e poi recentemente fatto il salto di specie nell’uomo. Per quanto riguarda quest’ultima ipotesi, alcuni scienziati ritengono che il virus possa essersi nascosto in roditori o altri animali, subendo diverse pressioni evolutive che poi hanno dato origine alle mutazioni prima di tornare all’uomo.



L’IPOTESI DEL NUOVO SALTO DI SPECIE

L’ipotesi della zoonosi inversa è sostenuta dall’immunologo Kristian Andersen dello Scripps Research Institute: «So che la maggior parte degli scienziati pensa che le varianti provengano da individui immunodepressi, e questo è plausibile. Ma a essere onesti credo che una nuova zoonosi sia più probabile tenendo conto che molte mutazioni sono alquanto insolite e che il ceppo sembra aver subito una scissione precoce da altre varianti del coronavirus. Questa possibilità non è da scartare», ha dichiarato a STAT. Sulla stessa lunghezza d’onda Robert Garry, professore di microbiologia e immunologia alla Tulane Medical School, secondo cui la variante Omicron presente delle mutazioni genetiche di «adattamento ai roditori» e cambiamenti inediti.



Il biologo evoluzionista Mike Worobey su Science ha tirato in ballo i cervi dalla coda bianca campionati in Iowa tra fine novembre 2020 e inizio gennaio 2021. L’80% di questi era portatore di coronavirus. Ma potrebbero esserci altre specie animali infettate in modo cronico. Uno studio di un mese fa comunque suggerisce che il cervo dalla coda bianca possa diventare un serbatoio per il coronavirus. «Se questo è il caso, farebbe crollare ogni speranza di eliminare o sradicare il virus negli Stati Uniti e quindi dal mondo», ha affermato il virologo veterinario Suresh Kuchipudi della Penn State, co-autore di tale ricerca.

I DUBBI SULLA ZONOSA INVERSA

Chi è scettico riguardo lo scenario animale dietro l’origine della variante Omicron è il biologo evoluzionista Aris Katzourakis dell’Università di Oxford: «Inizierei a preoccuparmi di più dei serbatoi animali se riuscissimo a sopprimere il virus e allora proprio negli animali potrebbe trovare un posto dove nascondersi». Questo dubbio potrebbe essere fugato, secondo Michael Worobey, facendo esperimenti su specie selezionate di animali selvatici per vedere se possono essere contagiati e, in tal caso, se ci configurano modelli di evoluzione virali simili a quelli emersi con Omicron. Ma – come ricorda il Corriere della Sera – c’è pure l’ipotesi della scarsa sorveglianza virale, sostenuta dal virologo Christian Drosten dell’ospedale universitario Charité di Berlino: «Presumo che questo nuovo ceppo non si sia evoluto in Sud Africa, dove sono in corso molte sequenze, ma da qualche altra parte nell’Africa meridionale durante l’ondata invernale».

VARIANTE OMICRON SI È NASCOSTA?

Invece il biologo evoluzionista dell’Università di Edimburgo Andrew Rambaut ritiene improbabile che la variante Omicron sia rimasta a lungo nascosta: «Non sono sicuro che esista davvero un posto nel mondo abbastanza isolato da consentire a questo tipo di virus di trasmettersi per tanto tempo prima che emerga in altre zone». Più semplice l’ipotesi dell’infezione cronica, del resto in Sud Africa è stato riportato il caso di una donna infetta da Hiv rimasta positiva al Covid per oltre sei mesi. Anche le persone immunocompromesse potrebbero fungere da «serbatoio» per le varianti, visto che possono ospitare il virus per diverse settimane, un tempo sufficiente per sviluppare mutazioni. Al momento per non ci sono elementi per i quali ritenere più verosimile un’ipotesi rispetto ad un’altra.