Fu la canzone che cambiò il corso della musica italiana. Gli anni 70 erano quasi finiti, eravamo abituati ai cantautori tristi che con una chitarrina acustica celebravano i loro mal di pancia esistenziali e, al massimo, a gruppi come i Pooh che con vocine angeliche ci dicevano quanto mancava loro la piccola Katy. Poi arrivò lui, Vasco Rossi, con il boato di un uragano e stravolse ogni regola. Il 30 aprile 1979 usciva Non siamo mica gli americani, un titolo autoironico che prendeva in giro se stesso, dicendo a chiare lettere che anche se faceva rock, quello vero era un affare americano. Ma il pezzo Albachiara avrebbe fatto l’invidia di Rolling Stones e Who. Per la prima volta in Italia si parlava di sesso in maniera esplicita, intima, sfondando le barriere di tante canzoncine pudiche, una canzone impossibile da pensare in una Italia ancora ipercattolica e in mano alla Democrazia Cristiana, su cui ordine i dj delle radio rigavano i solchi delle canzoni considerate troppo esplicite in modo da non passarle in radio. Vasco Rossi naturalmente se ne fregava di tutto questo.
IL RIFF IMMORTALE
Albachiara parlava di masturbazione, e per di più femminile ed esplodeva in quel riff leggendario di due chitarre sovraincise che sarebbe rimasto insuperabile nella storia della musica italiana. Davvero, ascoltandola, pensavamo di essere finalmente americani anche noi. Vasco Rossi, come spesso fatto nella sua carriera, aveva rubato la melodia al suo chitarrista Massimo Riva che l’aveva incisa per un pezzo intitolato Seveso, dedicata al caso diossina di tre anni prima. Il soggetto del brano era invece reale, una ragazzina di 13 anni che vedeva scendere dalla corriera tutti i giorni davanti casa sua immaginandosela nella sua intimità scoprire il proprio corpo. Le chitarre (assolo finale compreso) sono di Maurizio Solieri, che così descrive la sua presenza nella canzone in Questa sera rock’n’roll, la biografia scritta nel 2010 con Massimo Poggini: «Il famoso riff raddoppiato che segue quasi tutta la canzone stando sotto la linea vocale lo avevamo messo a punto in sala prove. L’assolo invece venne praticamente improvvisato: feci due o tre “take”, poi scegliemmo le parti migliori e le mettemmo insieme. Il risultato fu qualcosa di molto strano per un’epoca come quella, in cui furoreggiavano i cantautori, ma noi eravamo innamorati della grande storia del rock, ascoltavamo i Queen, i Led Zeppelin, i Rolling Stones, gli AC/DC, Bruce Springsteen, e certe cose ci venivano in modo naturale». Da allora Albachiara è la canzone che chiude tutti i concerti di Vasco Rossi.