In esclusiva su “La Verità” vengono pubblicate oggi diverse componenti delle carte sul maxi-processo in rampa di lancia in Vaticano il prossimo 27 luglio contro il Cardinal Angelo Becciu, il finanziare Raffaele Mincione, i gestori di fondi come Gianluigi Torzi e Enrico Crasso, la “dama bianca” Cecilia Marogna e un dipendente laico come Fabrizio Tirabassi. L’inchiesta nasce comò noto dall’investimento immobiliare nel palazzo di Londra a Sloane Avenue compiuto con i soldi dell’Obolo di San Pietro e sotto accusa finisce la Segreteria di Stato nella sua gestione economica all’epoca gestita dal Cardinal Becciu.
Da quanto rilevato dai pm vaticani – che fanno riferimento in gran parte alla confessione dell’ex braccio destro del Cardinale, Monsignor Perlasca – circa un quinto degli investimenti del Vaticano negli ultimi anni di gestione Becciu-Perlasca (mezzo miliardo di euro) sarebbe avvenuto in realtà e società contrari alla morale della Chiesa Cattolica. Dal 2011 al 2020 sono stati fatti investimenti «a elevata propensione al rischio e poco in linea con gli standard etici fissati da Papa Francesco» e contro «il Codice di Diritto Canonico»: a riportare queste parole, spiega l’inchiesta giornalistica, è la missiva inviata dagli inquirenti vaticani al promotore di giustizia Gian Piero Milano lo scorso 8 febbraio.
GLI INVESTIMENTI “SOSPETTI” DEL VATICANO
Dei 506 milioni di euro investiti nei 9 anni di “gestione Becciu”, spiega l’accusa della Santa Sede, 198 milioni sono stati investiti in obbligazioni, 61 milioni in azioni, 8 milioni in features, 4 milioni in fondi hedge. Secondo gli inquirenti però, «questi investimenti erano al 100% di carattere speculativo, eticamente scorretti, soprattutto se l’ordinante risulta essere la Santa Sede». Enrico Crasso (che agiva su delega di Becciu) avrebbe avuto un modus operandi che puntava dritto alla “scommessa” e il “rischio” negli investimenti e aziende poi risultate condannate per corruzione, tangenti e anche inquinamento ambientale. Niente “finanza sostenibile” come vorrebbero le ultime encicliche e riforme del Santo Padre, ma uno scenario decisamente opposto: 105 milioni circa su quei 506 andarono ad aziende come la TullowOil che fu accusata di disastro ambientale in Uganda. Secondo le carte in mano a “La Verità” vi sarebbero poi anche altre aziende “scelte” dal Vaticano come la Petroleos Mexicanos, anche qui accusata di mazzette ai politici messicani, oppure la Glencore Austrlaian Holdings accusata di aver riciclato denaro all’estero sul commercio del greggio. A queste aziende come a tante altre sono stati investiti 15 milioni circa dei fondi della Segreteria di Stato, i restanti 86 sono invece stati destinati ai contratti linked note o Twin-win: «Nel primo caso l’investimento è legato all’instabilità di una società e un evento che ne mette in discussione i bilanci. anche i twin, come come costituiti dalla Segreteria, si basano sul possibile default di una società. In pratica, l’esatto opposto di quanto non solo la dottrina della Chiesa insegna, ma anche l’idea di fondo di un cattolico. Cioè, lo sviluppo e la crescita collegata a una ridistribuzione della ricchezza», sottolinea l’inchiesta de “La Verità”. Non solo, secondo quanto contenuto nelle carte del maxi processo contro la Segreteria di Stato vaticana, emergerebbe come i soldi investiti nel palazzo di Londra di Sloane Avenue sarebbero dovuti servire per entrare nel business del petrolio. «Ma usare 200 milioni fu considerato troppo rischio pure dai consulenti della Santa Sede», riporta “La Verità”.