Lo start al maxi processo in Vaticano per il Cardinale Becciu e per gli altri imputati sul “caso Palazzo di Londra” è sempre più vicino: sui quotidiani, in testa “La Verità” continuano le pubblicazioni delle carte con le accuse ai vari protagonisti della poco trasparente vicenda sui fondi della Segreteria di Stato. Nella “puntata” di ieri il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro ha pubblicato in esclusiva gli affari-investimenti prodotti dalla “gestione” Becciu-Perlasca-Crasso non proprio in linea con la morale della Chiesa; oggi invece si punta sugli altri investimenti “mirati” oltre all’acquisto del palazzo in Sloane Avenue.
Gli affari immobiliari della Santa Sede, rilevano le carte del processo, vedevano i manager e alti prelati intenti nel risparmiare il più possibile per evitare le tasse e obiettivi come l’Hotel Bulgari nel centro di Londra. Sono stati intercettati dalla direzione dei servizi di sicurezza della Gendarmeria vaticana mentre discutono degli obiettivi di investimento da attuare negli anni 2011-2019, ovvero durante la gestione Becciu sulle economie del Vaticano: «Sì sì, uno dei palazzi di Louis Vuitton, perché quello è nostro no?», chiede nelle intercettazioni il sostituto per gli affari generali della Segretari, Edgar Pena Parra. Con lui anche Monsignor Carlino (Ufficio documentazione Segreteria) e l’imprenditore Luciano Capaldo oltre al funzionario romano Tirabassi: è proprio questi che corregge il monsignore, riportando l’esatto hotel desiderato, «il Bulgari!».
LE CARTE DEL PROCESSO BECCIU, PARTE SECONDA
Si discute poi della convenienza o meno di proseguire nelle mire immobiliari, e il nome del palazzo di Sloane Avenue 60 torna di stretta attualità: Cataldo chiede, «Una domanda eccellenza, ma se mettiamo 60 Sloane Avenue nel fondo, dal punto di vista del credito, noi non siamo più avvantaggiati con il Credit Suisse». Risposta da Carlino, collaboratore del Cardinal Becciu: «si sì può utilizzare l’ecofid. Avremmo noi a quel punto una grande garanzia». Secondo i pm vaticani avere quell’immobile è un modo per tutelarsi nei confronti della banca: il vero “spauracchio”, ipotizza “La Verità” prendendo le parti degli accusatori, sono le tasse e dunque occorre il più possibile rientrare nelle possibili perdite. Questo il ragionamento fatto dagli imputati in un altro incontro, questa volta tra Monsignor Carlino e un esperto di investimenti come Luca Del Fabbro: «Su Londra questi possibili affittuari se loro sono disposti a contribuire alla sopra elevazione in modo tale che noi gli scontiamo l’affitto». Pena Parra replica, «Possiamo tirare fuori tutto quello del… palazzo perché rimane più del 10 per cento… e noi del palazzo in una categoria diversa e poi senza tasse». Un’altra ipotesi era quella di affittare l’immobile, ad esempio ad una società come la British Petroleum come suggerito dallo stesso Carlino; davanti al promotore di giustizia prima del processo, il monsignore ha confermato la fissazione per le tasse, «Capaldo sperava di poter detrarre l’Iva da una fattura milionaria». Ulteriori elementi di indagine sono stati poi i conti della “dama” Cecilia Marogna la quale avrebbe ricevuto soldi dalla Segreteria del Vaticano direttamente dal Cardinal Becciu, secondo l’accusa fatta da pm e da Monisgnor Perlasca (fonte ancora “La Verità”): «nell’estratto conto della società della sedicente 007 anche acquisti in macellerie, mobilifici, McDonald’s e gioielli». Inutile ribadire come in sede di processo i diretti interessati dovranno replicare alle gravi accuse per comprendere se vi sia stata un’autentica “struttura” atta a sfruttare parte delle entrate della Chiesa per investimenti sfrenati, non destinando invece l’intera somma per poveri e comunità.