I giudici di Londra hanno demolito pezzo dopo pezzo l’intero impianto accusatorio del Vaticano rispetto allo scandalo del palazzo di Londra. Secondo quanto scrive Il Messaggero, stando ai magistrati inglesi, tutte le operazioni formali si sarebbero svolte con il benestare del cardinale Parolin e del Sostituto, mons. Pena Parra. Il palazzo comprato con i soldi dell’Obolo fu al centro di una vera e propria guerra tra Ior e Segreteria di Stato per il controllo della proprietà. Gianluigi Torzi, uno dei protagonisti della vicenda, si era rivolto alla magistratura inglese. Il finanziere era subentrato nella gestione dell’immobile acquisendo le quote da un altro finanziere, Raffaele Mincione poi entrambi indagati dal Vaticano per presunta truffa ai danni della Santa Sede. I giudici britannici oltre a sbloccare i conti correnti di Torzi hanno però chiarito che dietro l’intera vicenda non vi fu alcun ricatto ma le transizioni avvenute sono da ritenersi del tutto regolari rispetto all’ordinamento britannico.



Nella sentenza il giudice inglese oltre a ricapitolare i punti dell’intera complessa vicenda ammette anche l’esistenza di errori e la mancanza di prove da parte dei procuratori del Vaticano. Numerosi i punti di cui si compone la sentenza che vede al numero 75 una nota del cardinale Parolin emessa dopo l’ultimo passaggio della vendita a Torzi, giudicato positivamente dal porporato.



VATICANO, PALAZZO LONDRA: LA SENTENZA DEI GIUDICI INGLESI

Nel documento in oggetto datato 25 novembre 2018, Parolin scriveva: “Dopo aver letto questo Memorandum, anche alla luce delle spiegazioni fornite ieri sera dal monsignor Perlasca e dal dottor Tirabassi, avendo avuto rassicurazioni sulla validità dell’operazione (che porterebbe vantaggi alla Santa Sede), sulla sua trasparenza e sull’assenza di rischi di reputazione (che, in effetti, supererebbero quelli legati alla gestione del Fondo GOF) sono favorevoli alla conclusione del contratto. Grazie. P Parolin”. Dopo poco però esplose lo scontro tra Ior e Segreteria di Stato che fece partire l’inchiesta del Vaticano ora alle battute finali. Il magistrato inglese, inoltre, avrebbe manifestato dubbi sul fatto che mons. Perlasca “sia stato tenuto all’oscuro dal modo in cui le transazioni dovevano essere strutturate e difficile da accettare, dato che la Segreteria di Stato fu consigliata da avvocati londinesi ed eseguiva i documenti per conto della Segreteria”. Inoltre, aggiunge, “Trovo difficile accettare qualsiasi ipotesi che l’arcivescovo Peña Parra abbia firmato un tale documento senza aver familiarizzato con i documenti con i quali ha autorizzato Monsignor Perlasca a eseguire, data l’apparente importanza dell’operazione e le notevoli somme di denaro coinvolte”. Lo stesso magistrato londinese avrebbe inoltre annotato non poche discrepanze.

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