Spesso criticato perché a due mesi dalla guerra in Ucraina non si è recato ancora a Kiev, Papa Francesco sta facendo per la pace molto più di quel che si pensa. Se in pubblico lancia ad ogni occasione possibile appelli di pace, privatamente ha intrecciato una trattativa segreta con la Chiesa ortodossa per fermare il conflitto. Lo rivela L’Espresso, secondo cui il 22 marzo, a quasi un mese dall’inizio della guerra, l’ambasciata ucraina presso la Santa Sede ha comunicato che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva ricevuto una telefonata «promettente» da Bergoglio. Ne sono seguite altre, più sintetiche, mai rivelate. Dal Vaticano non può ottenere armi, né molto denaro, anche se un paio di anni fa ci fu una donazione per la regione del Donbass di 16 milioni di euro, di cui 5 dai fondi papali, mentre da marzo decine di migliaia di euro ogni giorno finiscono sui conti delle sette diocesi e delle organizzazioni religiose.
Ma la “mano” di Papa Francesco la si trova nella doppia evacuazione degli orfanotrofi di Vorzel e Kherson, avvenuta tra il 9 e 10 marzo. Fu il Vaticano, su richiesta delle autorità ucraine, a intercedere con i generali russi per una tregua. Il 23 marzo invece, all’indomani di un altro colloquio tra il Santo Padre e Volodymyr Zelensky, la segreteria di Stato ordinò alla nunziatura di Kiev di allestire un piano per l’ingresso in sicurezza di un convoglio con almeno 50 autobus a Mariupol e di aprire un corridoio umanitario per l’estrazione di 2.500 civili alla volta, finché possibile.
LA TRATTATIVA SEGRETA PER FERMARE LA GUERRA
Dalla ricostruzione de L’Espresso emerge che la prima bozza prevedeva una missione a Mariupol di un vescovo cattolico e di uno ortodosso. Quando ci si è resi conto che non si riusciva a convincere i militari russi, il Vaticano ha coinvolto la Chiesa ortodossa. Il patriarca Kirill, che un giorno definisce giusta la guerra e in un altro dice esattamente il contrario, ha accettato di partecipare al convoglio. Di fatto, la missione fissata per il 27 marzo era svolta il nome del pontefice di Roma e del patriarca di Mosca. I generali russi, però, hanno ignorato entrambi e non hanno fermato i cannoni, anzi hanno proibito alla carovana cattolica e ortodossa di entrare a Mariupol. «Un fallimento, un dolore. Un costo enorme. Un costo che non possiamo misurare, perché in mezzo ci sono vite che non abbiamo potuto sottrarre alla furia degli spari. È frustrante non riuscire a soddisfare le richieste di chi sta per morire. È molto complicato da accettare», afferma al settimanale l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, agente diplomatico vaticano, da settembre nunzio apostolico a Kiev. Da quel giorno la pace si è allontanata. Ora sono chiare le ragioni, anche della decisione di Bergoglio di cancellare l’appuntamento con Kirill. La lettura sarebbe duplice: da un lato non vuole inchinarsi a Mosca, dall’altro non vuole mettere in imbarazzo il patriarca di Mosca che nel frattempo ha confermato la sua sintonia col Cremlino. Il Vaticano non ha mollato la presa. Papa Francesco ha mandato un’altra lettera al patriarca Kirill ed è stato organizzato un secondo piano per Mariupol.
LE PRESSIONI DI PAPA FRANCESCO SULLA RUSSIA
Alla vigilia di Pasqua il pontefice ha inviato il cardinale polacco Konrad Krajewski, l’elemosiniere apostolico, a Kiev per consegnare un’ambulanza. Poi è andato a pregare tra le rovine di alcune città, tra cui Irpin e Bucha. Questa la missione pubblica, quella privata invece prevedeva il nulla osta per l’ingresso nella zona dell’acciaieria Azovstal di Mariupol per evacuare i civili intrappolati. Un obiettivo non raggiunto, ma neppure tramontato. «Ora sono qui in Vaticano e non ho programmi per domani. Papa Francesco mi ha suggerito di lasciare il motore acceso perché potrei tornare in Ucraina in qualsiasi momento. Siamo in uno stato di allerta permanente», ha dichiarato a L’Espresso. Ma non sono mancate tensioni con l’Ucraina, come nel caso della preghiera pasquale delle due donne, una ucraina e l’altra russa. La propaganda ucraina non ha risparmiato il Vaticano, che si è dovuto difendere da alcune fake news, come quella sui soldi di Vladimir Putin custoditi dallo Ior e dalla contrarietà alle spedizioni di armi in Ucraina. «La teologia cattolica riconosce la legittima difesa. Noi non offriamo soluzioni politiche o militari. Questo è un principio chiaro. Noi non incoraggiamo un maggior armamento e non individuiamo le clausole di un accordo», ricorda Kulbokas. Questo è anche il motivo per il quale non ci si rivolge ai presidenti né si menzionano i governi. «Però lavoriamo sempre per la pace sapendo distinguere fra chi offende e chi reagisce. Sotto la croce non esistono distinzioni, ci sono gli ucraini e anche i russi. Non mandiamo via nessuno». La diplomazia del Vaticano, comunque, non si ferma e continua a credere nella pace.