Si è già placato il clamore mediatico sollevato dall’ultimo libro di Gianluigi Nuzzi sugli scandali delle finanze vaticane. L’uscita del volume, «Giudizio universale», che segue altri libri-inchiesta già scritti dal giornalista milanese tutti accompagnati da forti diatribe e grandi successi di vendita, ha avuto la fortuna di essere stato seguito da due polemiche che dovevano restare interne alle mura vaticane: l’allontanamento di Domenico Giani, capo della gendarmeria e responsabile della sicurezza del Papa, e lo scambio dialettico tra i cardinali Pietro Parolin e Giovanni Angelo Becciu.



Era stato lo stesso Papa ad avviare, su segnalazione dello Ior e dell’Ufficio del revisore generale vaticano, una rigorosa inchiesta interna per verificare le voci di possibili crimini finanziari commessi in qualche organismo economico della Santa Sede. Un’iniziativa assunta ben prima che uscisse il libro di Nuzzi. Alla luce di queste indagini, appare perfino banale l’osservazione del cardinale Parolin, e cioè che qualche «opacità» ci dev’essere: se tutto fosse trasparente come l’acqua delle fontane di piazza San Pietro, il Papa non avrebbe ordinato di avere chiarezza.

Ora, dopo giorni di polemiche, l’operazione più discussa, ovvero l’acquisto di un palazzo nel cuore di Londra per 200 milioni di euro con fondi della Segreteria di Stato, appare inserita in un contesto inizialmente assai meno definito. «Ci è stata avanzata la proposta di questo storico e artistico palazzo», ha spiegato il cardinale Becciu all’agenzia Ansa, «l’investimento era regolare e registrato a norma di legge». Le operazioni immobiliari, secondo l’ex numero 2 della Segretaria di Stato, sono «prassi della Santa Sede: Pio XII fu il primo ad acquistare immobili a Londra». Anche per il Vaticano il mattone resta l’investimento principe quando si tratta di garantire una redditività nel lungo periodo.

Un conto, ha aggiunto Becciu, è il fondo per la carità del Papa, destinato ai poveri; un altro è l’obolo di San Pietro che è destinato «anche per il sostentamento del ministero pastorale» del Pontefice, compresa la gigantesca macchina burocratica della curia romana. Parolin, quando ha accennato all’«opacità», ha poi aggiunto: «L’obolo di San Pietro è amministrato bene». Anche sotto questo aspetto, dunque, la contrapposizione tra i due porporati appare forzata.

Nell’operazione immobiliare londinese, il Vaticano aveva messo soltanto una parte minoritaria dei fondi. C’era un altro partner, un socio di maggioranza con il quale «sono nate difficoltà», ha precisato Becciu: «Questioni circa la gestione di parte della liquidità». Questo socio, che il cardinale non cita, è Raffaele Mincione, un finanziere con base a Londra che tra i suoi consulenti vanta anche l’avvocato Giuseppe Conte, ora presidente del Consiglio. Dice Becciu che Mincione, «disattendendo le indicazioni reiterate anche per iscritto, continuava a investire in attività che la Segreteria di Stato non poteva assolutamente condividere, né approvare».

Da qui la decisione di andare ognuno per la sua strada e di acquisire l’intera proprietà dell’immobile attingendo ancora ai fondi dell’obolo. Questa dunque, per sommi capi, la ricostruzione da parte vaticana. Come si vede, i punti di vista dei due porporati hanno approcci diversi ma appaiono complementari, non contrapposti. D’altra parte, sono stati entrambi cooptati da Francesco nella cerchia dei suoi collaboratori più stretti e da lui elevati alla porpora. I veri attacchi al pontificato partono altrove.