Le vedove dei militanti dell’Isis sono rifugiate in massa nei campi profughi dell’Iraq per paura di ciò che potrebbe accadere loro al ritorno a casa. A raccontarlo è un articolo su Specchio, il settimanale de La Stampa, che riprende un report Intersos, organizzazione umanitaria che segue le sorti degli sfollati interni iracheni. Una delle interviste contenute è quella ad Anjia, una delle donne che si trovano a Jeddah insieme ai loro figli.



Inizialmente è arrivata nel campo credendo che sarebbero rimasta per poco tempo, ma a distanza di anni, dopo la guerra di liberazione di Mosul, è ancora lì, nell’area 6, l’unica del campo che non è stata chiusa, tra lamiere e rifiuti. “Sono preoccupata che nel mio villaggio vogliano vendicarsi con i miei figli per le colpe dei padri. Ho paura che qualcuno possa ucciderli. Non posso tornare lì, non ci vogliono più”, ha raccontato. Anche perché molte case, dopo i combattimenti, non ci sono neanche più.



Vedove soldati Isis rifugiate in campi profughi: i racconti

Anche Amina, come Anjia, è una delle vedove dei militanti dell’Isis che sono rifugiate nei campi profughi, nonostante questi siano stati chiusi ufficialmente nel 2019 dal Governo. “Se tornassi a casa a me e ai miei toccherebbe la stessa sorte di alcuni miei parenti, che sono stati arrestati perché denunciati dai vicini”, ha raccontato nell’intervista contenuta nel report Intersos, organizzazione umanitaria che segue le sorti degli sfollati interni iracheni. I processi in Iraq infatti sono collettivi, di respingimento sociale. Il sospetto è sufficiente per far scattare l’arresto.



È così che a pagarne le spese non sono soltanto le donne, ma soprattutto i loro figli. A volte qualcuno porta loro acqua e cibo, ma nient’altro. Non hanno documenti e non possono studiare. “Non hanno futuro, sono banditi dalla società”, dicono le madri. L’ombra dell’estremismo intanto rende ancora più oscura questa vicenda.