E così dopo Romano Prodi un altro padre-fondatore del Partito Democratico come Walter Veltroni a pochi giorni dalle Elezioni dice il suo No netto al Referendum sul taglio dei parlamentari: intervenendo ieri a Otto e Mezzo su La7 l’ex sindaco di Roma lo dice con chiarezza, «Se quello di domenica fosse un voto sul governo, voterei a favore perché non vedo alternative e penso che abbia fatto quello che doveva fare, e non era facile. Ma sul referendum è un’altra storia: il Pd per tre volte ha votato No a questa riforma. Io penso che non si possa fare un taglio dei parlamentari senza una riforma complessiva perché se si tocca Parlamento, bisogna farlo tenendo conto degli equilibri necessari. Il vero problema è il bicameralismo perfetto. Per questo voterò No». Da Prodi a Parisi, da Cacciari fino appunto a Veltroni: dopo il patto di Zingaretti con i 5Stelle sul voto per il Sì in cambio di una riforma elettorale condivida e di ulteriori riforme nei prossimi mesi, non sono pochi i “distinguo” all’interno del Partito Democratico: «Ma non mi piace l’andazzo che sta prendendo il dibattito sulle istituzioni in questo Paese. Sento parlare di preferenze, vedo tornare il proporzionale, ma io sono per il maggioritario».



VELTRONI E IL FUTURO DEL PD

Secondo l’attento osservatore politico e giornalista de La Stampa Jacopo Iacoponi con questa uscita pubblica netta contro la riforma voluta e targata Movimento 5 Stelle potrebbe Veltroni essersi “giocato” qualcosa a riguardo del futuro politico dal 2022 in poi: «Walter Veltroni, dichiarando il suo No al referendum, probabilmente perde i voti del M5S nella futura elezione del Quirinale. Forse, del resto, non avrebbe neanche quelli dell’attuale Pd». A domanda diretta del giornalista del Fatto Quotidiano Andrea Scanzi sempre a Otto e Mezzo se crede o meno nell’accordo Pd-M5s, Veltroni replica «Ci crederei di più se sul Mes o sui decreti sicurezza si fossero fatti dei passi in avanti. Se si è sinceri, si apre una discussione in cui il punto di vista programmatico dei 5 stelle dovrà pesare, però senza furbizie e senza i toni di esasperazione della propria identità. Stare insieme per paura non garantisce al Paese le riforme radicali di cui ha bisogno». In merito al futuro del Pd dopo Referendum e soprattutto Elezioni Regionali, l’ex Segretario blinda – come prima di lui aveva già fatto sia Enrico Letta che Goffredo Bettini – Zingaretti e sottolinea «Zingaretti non si deve dimettere se il Pd perdesse in Toscana. Secondo me è un buon segretario. Io mi dimisi da segretario non per la Sardegna, ma perché il progetto di Pd che mi stava a cuore non era più realizzabile. L’occasione persa che indebolisce il governo però è la mancata convergenza alle regionali».

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