“Inizia un periodo complesso, con tante difficoltà economiche, gestionali e sociali” ammette con un po’ di preoccupazione Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VéGé – oltre 3.400 punti di vendita per 2,5 milioni di metri quadrati di superficie commerciale complessiva e una quota di mercato del 7% -, “ma non corriamo il rischio di avere gli scaffali vuoti”. Il possibile “venerdì nero”, con le proteste e gli scioperi annunciati da portuali e autotrasportatori, due categorie contrarie all’obbligo del green pass, non dovrebbe creare “criticità tali da mettere in crisi le forniture a breve”.



Santambrogio, poi, guarda più in là e il timore, da scongiurare a tutti i costi, è che la tempesta dell’inflazione – indotta da rincari e carenza d’offerta delle materie prime alimentari e non – si trasformi nella tempesta perfetta della stagflazione (crescita bloccata, ma prezzi in salita). Così, per uscire dall’occhio del ciclone, chiede al governo di aprire un tavolo di filiera con due richieste: spostare almeno di un anno plastic tax e sugar tax e ridurre il cuneo fiscale per difendere il potere d’acquisto delle famiglie.



Oggi si prospetta un venerdì nero. E se le agitazioni e le proteste di portuali e autotrasportori dovessero proseguire per più di un giorno? Che cosa ha da temere il settore della distribuzione?

Premesso che non sappiamo quello che oggi accadrà davvero, c’è comunque preoccupazione, certo, ma nel breve non ci sono criticità tali da mettere in crisi le forniture. Anche perché ci siamo già cautelati, soprattutto nell’approvvigionamento dei prodotti secchi.

Nessun problema allora?

Un problema potrebbe insorgere solo sullo scarico dei prodotti deperibili dell’ortofrutta, qualora dovessimo riscontrare diversi trasportatori, magari di piccole cooperative, non vaccinati né con il tampone temporaneo. Sulla logistica dei punti vendita, invece, siamo abbastanza tranquilli e sui prodotti freschi e freschissimi abbiamo comunque qualche giorno di vantaggio.



Se si dovesse far ricorso ai tamponi, che problematiche intravvede?

Se il tampone dovesse essere eseguito ogni 48 ore, ciò comporterebbe a un aggravio a livello di pianificazione del lavoro dei dipendenti.

Per esempio?

Pensi solo, in un punto vendita, al caso di un macellaio a cui scadesse il tampone alle 15,30 di un sabato pomeriggio…

In quel caso?

Dovrebbe, di norma, e lo farà, abbandonare il posto di lavoro e questo fa diventare più costosa e complessa la pianificazione, perché non possiamo assolutamente permetterci di non avere personale nei punti vendita.

Da domani, quindi, cosa potrebbe succedere?

Che comincia un periodo di maggiore complessità e con maggiori costi gestionali di tutta la filiera.

Il decreto sull’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro ha suscitato molte perplessità e proteste sulla sua messa a terra. Lei che idea si è fatto?

E’ assolutamente importante che tutti abbiano il green pass.

Perché?

Nella tempesta che stiamo vivendo, e che ci spaventa, oggi il nodo principale è come gestire il dover scaricare a valle l’inflazione in acquisto derivante dagli aumenti delle materie prime e dall’incremento dei costi nel loro processo di trasformazione, dal gas alla logistica, dal petrolio al legno dei pallet, dai noli alla banda stagnata per l’alluminio.

Come gestire tutto questo?

Questa tempesta diventa la tempesta perfetta se la dinamica inflattiva in atto dovesse accompagnarsi con il blocco della crescita.

Potremmo avere dei contraccolpi, quindi, sui tassi di crescita?

Dobbiamo evitare di entrare nella stagflazione, che è il dramma che noi tutti vorremmo scongiurare.

Che impatto potrebbe avere su livelli produttivi e occupazione?

Una crescita bloccata non può che creare maggiore disoccupazione, con l’aggravante di essere legata a un fenomeno inflattivo. Tutto ciò che non vogliamo. Quindi, per evitare la stagflazione dobbiamo evitare il blocco della crescita, e una delle concause è la recrudescenza della pandemia. Per non avere il Covid o ci si vaccina o si fanno i tamponi temporanei, ma il loro costo per chi non vuole vaccinarsi – posizione rispettabilissima – non deve gravare sulle aziende.

Accennava giustamente alla tempesta perfetta, scatenata dal combinato disposto di aumenti dei prezzi e nel contempo carenze delle materie prime. Come si abbatte sul vostro settore?

Diminuisce l’offerta e il prezzo aumenta perché la domanda rimane inalterata. Abbiamo come retail la difficoltà ad assorbire gli aumenti di listino che arrivano attraverso la filiera dall’industria di marca, costretta spesso – e sottolineo spesso – ad aumentare i prezzi anche perché c’è sempre qualcuno, all’interno del parco fornitori, che ci specula sopra.

Come funziona la speculazione?

Tutte le industrie alimentari hanno delle scorte e le acquistano in anticipo, in certi casi anche 18 mesi prima. Quindi non si può certo dire che tutto è aumentato e tutto incide adesso sul prezzo finale.

E quindi che succede?

Nel nostro caso, il 92% dei fornitori ci ha chiesto aumenti di listino e siamo preoccupati di come non scaricare a valle gli aumenti lordi, perché, se ci paragonassimo a un tubo che porta l’acqua e dovessimo riversare sul cliente finale ciò che diventa inflazione, avremmo un incremento dei prezzi dei beni commodities tra il 5% e il 10%.

Non è poco…

E’ tantissimo. Ecco perché non lo facciamo.

Per quali motivi?

Uno economico: se aumento i prezzi del 10% e il mio concorrente molto meno, io vado fuori mercato.

E l’altro motivo?

E’ scorretto scaricare a valle gli aumenti tout court, anche se un’inflazione positiva del 2-3% ci può stare, soprattutto se viene compensata da una buona programmazione delle promozioni. E’ invece eticamente corretto che parte di questi aumenti se li assuma il comparto industriale, parte il comparto del retail, perché sarebbe improduttivo e sbagliato chiedere un tavolo di confronto disgiunto dei vari attori della filiera.

E’ per questo che proprio ieri avete chiesto al Governo di aprire un tavolo di filiera per valutare le possibili conseguenze del rincaro dei prezzi delle materie prime ed energetiche sulla ripresa economica?

L’iniziativa è nata da noi, come Adm (Associazione della distribuzione moderna), l’abbiamo fortemente voluta e abbiamo coinvolto anche buona parte del settore agroalimentare italiano. Lo abbiamo fatto proprio perché noi oggi non possiamo creare inflazione così elevata.

Che cosa chiedete in concreto?

Pur essendo impegnati in prima linea nella battaglia della sostenibilità, chiediamo di non far partire, anche perché mancano ancora i decreti attuativi, dal prossimo 1° gennaio la plastic tax e la sugar tax. E’ un errore strategico: al di là dei proclami e delle intenzioni di acquisto di prodotti sostenibili, spesso riscontriamo una evidente distonia tra i wish del cliente e i suoi comportamenti d’acquisto nei punti vendita. Non siamo ancora così massivamente pronti a pagare un po’ di più la sostenibilità. Perciò chiediamo che venga fatta slittare almeno di un anno.

Altre misure?

Vogliamo chiedere anche un intervento di alleggerimento del cuneo fiscale: pur in presenza di un aumento dei costi, fossimo in grado di premiare redditualmente i dipendenti – e nel solo settore della distribuzione italiana parliamo di oltre 410mila addetti – daremmo un bel contributo alla difesa del potere d’acquisto delle famiglie. In più, non abbiamo alcuna intenzione di abbassare l’asticella sui fronti della sicurezza della filiera e sull’efficienza dell’offerta al consumatore finale.

C’è il rischio che non arrivino i prodotti alimentari sugli scaffali dei supermercati?

Rischio zero, soprattutto nel grocery. Vorrei tranquillizzare tutti: assolutamente non si corre questo pericolo, non bisogna fare incetta di alcunché né fare una corsa manzoniana ai forni, come già dissi ai tempi del primo lockdown.

Dopo sette anni di crescita, compreso l’anno della pandemia, il 2020, come pensate di chiudere come Gruppo VéGé questo difficile 2021?

Nel 2021 speriamo di chiudere con un aumento del 2,9% delle vendite in valore a parità di rete distributiva. Avendo però aumentato la rete di 35 unità di vendita, l’obiettivo potrebbe essere di arrivare a un +6,1%.

E con quali occhi guardate al 2022?

Positivamente, perché abbiamo in cantiere diverse aperture: 5 iper, 51 supermercati, 8 cash & carry. Temo molto, pur rispettandoli, i discount, perché dovesse perdurare questa dinamica inflattiva e rallentare la crescita, portando a un minor potere d’acquisto delle famiglie, tutto ciò le spingerebbe verso unità di vendita formalmente più convenienti. Ma ci stiamo organizzando per rispondere a questa possibile sfida, polarizzando la nostra offerta e valorizzando area premium o funzionale. Insomma, vedo un anno di difficoltà, ma sempre con un certo ottimismo.

(Marco Biscella)

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