Manca personale, è arcinoto. Anche alle Poste e anche a nordest. Il Veneto – rendono noto i sindacati – vede drasticamente ridursi i servizi ai cittadini e la loro qualità, a causa soprattutto delle carenze di organico, determinate dall’uscita del 20-25% di personale, neanche lontanamente compensata dalle nuove assunzioni. La situazione è generalizzata. Disguidi e ritardi anche nella consegna della corrispondenza sono all’ordine del giorno ovunque, e sempre per lo stesso motivo: manca personale. Ma se si considerano i dati dell’agenzia regionale veneta al lavoro, il problema somiglia a un rebus.
Il fatto è che il 2023 si è aperto mostrando segnali di crescita per il mercato del lavoro regionale: il primo trimestre dell’anno ha espresso un saldo positivo per 29.300 posti di lavoro dipendente, un bilancio migliore dell’analogo periodo di tutti i quattro anni precedenti, compresa la situazione pre-crisi del 2019, e il singolo mese di marzo ha registrato 17.200 posti in più, superando anche in questo caso i valori toccati in precedenza. Dopo la situazione incerta di gennaio e il buon risultato di febbraio, nell’ultimo mese si è dunque rafforzato il confronto positivo con il 2022 (+15.900) e con il 2019 (+11.700).
Il bilancio occupazionale trimestrale si compone di 16.000 posizioni lavorative a tempo indeterminato in più, +13.300 rapporti a termine e un saldo relativo all’apprendistato pressoché invariato (-33%). Dopo il fisiologico andamento negativo di gennaio, appesantito dalle chiusure di fine anno, febbraio e marzo sono risultati mesi positivi per il tempo determinato, nonostante siano ancora in crescita le trasformazioni contrattuali verso il tempo indeterminato (+11% sul 2022). Ma anche la domanda di lavoro si attesta su livelli particolarmente elevati: le assunzioni, complessivamente 160.200, superano del 4% quelle registrate nel primo trimestre 2022 e del 6% quelle del 2019, in periodo pre-pandemia. Nel mese di marzo la variazione è più contenuta rispetto al marzo 2022 (+1%), quando però ci si trovava in pieno rimbalzo post-Covid e quindi su livelli particolarmente elevati, ma rispetto al 2019 la crescita è pari al +12%. Più contenuta la variazione registrata per le cessazioni contrattuali, che sono state 131.000, appena l’1% in più sul 2022.
Cresce nel trimestre anche la domanda di lavoro di giovani under 30, che con 55.000 assunzioni rappresentano un terzo delle attivazioni complessive e mostrano una crescita dell’8% rispetto al 2022, mentre i lavoratori over 55 pesano appena per il 13% sul totale delle assunzioni, ma con un incremento del +10% sull’anno precedente. Delle 160 mila assunzioni complessive, 46.700 hanno riguardato contratti part time, la cui quota sul totale è passata dal 26% registrato nel 2021 all’attuale 29%. Per le donne, il peso del part-time sul totale delle assunzioni è ancora più sostenuto ed è passato dal 44% del 2021 al 46% di quest’anno.
L’analisi settoriale evidenzia nel primo trimestre dell’anno il ritorno in terreno positivo per l’agricoltura, che dopo diversi trimestri di calo registra un aumento delle assunzioni del 3% e un bilancio positivo per 4.500 posti di lavoro. La crescita complessiva rimane però trainata dai servizi, dove le assunzioni crescono del 10% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno e il saldo è positivo per +6.300 posizioni lavorative. A fare da traino sono commercio e turismo, che rappresentano il 27% dei flussi di assunzione totali e registrano una variazione del +15% sul 2022. L’industria paga il raffronto con un periodo del 2022 in cui la ripresa si esprimeva ai massimi livelli nel settore secondario e mostra un calo del 5%, nonostante un saldo che rimane positivo in tutti i comparti, per un bilancio complessivo di +8.400 posti di lavoro.
Il rebus, allora, si gioca tra la mancanza di personale (le Poste erano solo un esempio, perché la carenza è estesa a qualsiasi attività, dall’industria al turismo alla sanità) e la crescita del mercato del lavoro, almeno a nordest. Le conclusioni sono abbastanza ovvie: non ci sono lavoratori sufficienti (e disponibili) a coprire il fabbisogno. Ne ha preso atto perfino il primo Governo di centrodestra, che l’altro giorno, nella relazione accompagnatoria del Def, ha esplicitato che “la tenuta dei conti pubblici italiani dipenderà negli anni a venire dai flussi migratori: l’arrivo di popolazione straniera in età lavorativa potrà migliorare il rapporto debito/Pil anche di 30 punti”. È una constatazione che da tempo era inserita anche nell’ultima pagina della rivista di enigmistica: una sola parola di 12 lettere, immigrazione. Possibilmente controllata e programmata. Quella sulla quale convergono gli esperti di demografia e i mercati occupazionali: la possibilità di formare e impiegare lavoratori immigrati come unica chance per non soccombere, e allo stesso tempo abbeverare il nostro deserto demografico.
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