Que c’est triste Venise, cioè Com’è triste Venezia: un brano divenuto storia, scritto nel 1963 da François Dorin e portato al successo praticamente mondiale da Charles Aznavour. La canzone parlava di un amore finito, e di un poveretto che tornava in laguna dopo un anno, lì dove aveva vissuto i suoi momenti felici con la sua lei e che adesso si ritrovava solo a vagare tra calli e campielli.



Fin troppo facile la suggestione a paragonare la tristezza di quel protagonista con quella del turista che oggi arriva al Lido, quei dodici chilometri di lingua di sabbia tra laguna e mare che un tempo conobbero il glamour, la sonnolenta ma agiata bellezza di un angolo di mondo sospeso nel tempo e nello spazio, quasi quel tratto d’acqua che la separa dalla città fosse una frontiera invalicabile: fortunato chi poteva esserci, e fortunato perfino chi poteva sobbarcarsi calvari giornalieri pur di respirare quell’atmosfera. La stessa atmosfera decadente ma irresistibile che all’inizio del secolo scorso convinse anche Thomas Mann, scrittore tedesco affine, per suo dire, a Wolfgang Goethe.



Oggi, se si esclude il periodo dei grandi eventi come la Mostra del Cinema, al Lido è rimasta la decadenza, ma non solo quella di una nobiltà perduta, quanto quella che implica la diminuzione di vitalità ed efficienza. E dire che la prossima stagione balneare qui inizierà ufficialmente il prossimo 22 aprile con le prime aperture, per proseguire poi con un calendario denso di sport, eventi e servizi, elaborato dal Comune di Venezia in collaborazione con Venezia Spiagge e Vela spa. L’obiettivo dichiarato è il ritorno alla normalità, per una stagione turistica di ripresa post-pandemia. Disarmante considerare che però la normalità, al Lido, è fatta di incompiute, di abbandoni, di grandi progetti lasciati affondare tra i veti di alcuni e l’insoddisfazione di tanti. Resta ancora incerta, ad esempio, la sorte dell’area ex Favorita, abbandonata da anni, o quella dell’ex colonia Padova agli Alberoni, o del leggendario Des Bains, chiuso da 12 anni, oasi di lusso divenuta triste cartolina di nostalgie e fallimenti.



Recentemente si è tornati a parlare anche della lunga tragedia – perché di tragedia si tratta – dell’ex Ospedale a Mare (OaM), un tempo riferimento per le cure elioterapiche e termali, già Ospizio Marino sorto a metà Ottocento come stabilimento climatico balneare per bambini tubercolotici. La struttura e l’area furono definitivamente dismesse vent’anni fa, nel 2003. Da allora i padiglioni sono stati abitati solo da scarafaggi, randagi e forse qualche senzatetto, gli intonaci sono crollati, i muri minacciano di rovinare a terra, le infestanti sono cresciute e hanno invaso ogni angolo. L’area è grande circa 50 mila metri quadrati e comprende alcune strutture e padiglioni: qualsiasi trasformazione, qualsiasi utilizzo ha sempre scoraggiato ogni ipotetico investitore.

Fino ad un paio d’anni fa, quando con l’impegno milionario di Cassa depositi e prestiti, di TH Group e Club Med il futuro era apparso improvvisamente più roseo: l’OaM sarebbe risorto a nuova vita trasformandosi in resort e in aule didattiche per la nuova Scuola italiana di Ospitalità. Bello. Ma non s’erano fatti i conti con le romantiche proteste di chi avrebbe voluto ripristinare in quella sede antichi avamposti sanitari o di chi intendeva ostacolare presunte invasioni appellandosi alla salvaguardia del territorio. Nel mentre, anche un cambio di governance in Cdp, un circuito d’attesa infilato dal Comune per verificare l’esito dei ricorsi presentati, e le nuove avances di CompuGroup, la holding del magnate Frank Gotthardt, avevano stoppato tutto: si sarebbe quindi ripartiti da zero, con CompuGroup, per realizzare il progetto “Mare”, un parco tecnologico (eHealth Technopark) focalizzato sull’innovazione e sulla ricerca nella sanità digitale e “finalizzato allo sviluppo, applicazione e commercializzazione di applicazioni innovative e di intelligenza artificiale per il settore medicale”. Ri-bello.

Ma da settembre scorso (quando fu presentata ufficialmente la proposta) a oggi non s’è mossa foglia. Non c’è stato il trasferimento della proprietà, ad esempio, e al Comune di Venezia sembra non sia pervenuto ancora nessun progetto. Così, le incertezze aumentano e le infestanti pure. La bonifica fatta dal Comune è ormai archiviata, e il degrado continua, nonostante si continui a discutere della storia e della valenza dell’OaM, come in un recentissimo convegno, che però ha visto clamorosi assenti i portavoce sia del Comune sia del CompuGroup. Forse anche loro troppo… incerti.

Ostinatamente, com’è nella sua natura, resta invece molto “certo” della bontà del suo progetto Graziano Debellini, presidente TH Group: “Ancora ritardi? Promesse non mantenute? Al Lido niente è mai facile, ma noi saremmo pronti a ripartire”. Con quel piano Cdp-TH-ClubMed che negli ultimi vent’anni risulta quello di gran lunga più concreto. Potrebbe essere un vero ritorno al futuro, ma le sabbie del Lido sembrano sempre troppo mobili per costruire certezze.

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