Il referendum svoltosi il 3 dicembre scorso in Venezuela ha stabilito che la regione dell’Esequibo, in pratica la parte occidentale della Guyana, venga dichiarata il 24° Stato della Federazione venezuelana. In pratica parte di un altro Stato, confinante con il Venezuela, ne viene a far parte nonostante sin dal 1777 sia di proprietà della Guyana stessa.
È abbastanza chiaro che per passare dalla teoria ai fatti il regime di Maduro dovrà usare la forza, attraverso una guerra che ancora ufficialmente non è stata dichiarata, ma che ha già mosso gli eserciti sia del Paese che dovrebbe essere attaccato che quelli di altri Stati confinanti come, per esempio, il Brasile.
Le ragioni di una simile decisione vanno molto più in là di una contesa che ormai dura da più di 200 anni e riguardano le enormi, addirittura colossali, ricchezze che nasconde un territorio in gran parte occupato dalla selva (quindi la natura) e i suoi fiumi e che in teoria ha attirato l’interesse della statunitense Exxon.
Il punto che però focalizza l’interesse su di una tale questione e ha fatto dichiarare a Maduro di non voler minimamente riconoscere la decisione della Corte Internazionale dell’Aja, che sta esaminando il contenzioso, risiede proprio nel Venezuela stesso e nel suo futuro politico.
Com’è possibile che un Paese che possiede già ricchezze immense nel suo territorio, ma a causa del disastro economico generato da anni di potere chavista, non riesca minimamente a estrarle al punto da aver dovuto addirittura importare petrolio (di cui è uno dei leader mondiali) e d’un tratto minacci un intervento armato per annettersi un territorio che non può minimamente sfruttare?
La risposta sta proprio nell’enfasi e la spettacolarizzazione di questo evento, pompato a tutti i possibili livelli falsificando addirittura i dati della consultazione popolare alla quale hanno partecipato solo due dei 23 milioni di abitanti e ha a che vedere con una crisi del chavismo che rischia a breve di dover passare la mano del potere a un’opposizione che ha ormai tutti i numeri per vincere le prossime elezioni che si terranno nel 2024.
La leader del partito Vente Venezuela, Maria Corina Machado, eletta lo scorso 22 ottobre come candidata unitaria dei principali partiti di opposizione sta acquistando una forza politica preponderante e la situazione catastrofica del Paese, che ormai non può più contare sull’alleanza e i fondi di Cina e Russia, impegnate su altri fronti geopolitici, né sulle riserve auree in esaurimento: pure quelle rimpatriate nel 2011 dai depositi all’estero, calcolati in circa 160 tonnellate.
Un Paese, quindi, allo sfascio completo e senza ormai alleati disposti a intervenire, nonostante le dichiarazioni di Maduro su di un’alleanza con la Russia putiniana: da qui l’idea di rispolverare un vecchio conflitto, mai caduto nel dimenticatoio ma anche mai lanciato all’attuale importanza. Vi ricorda qualcosa?
Facciamo un salto indietro all’inizio degli anni ’80 e, ironia della sorte, a una nazione che proprio domenica scorsa ha iniziato, con ogni probabilità, un arduo cammino per uscire da una crisi che la stava portando a trasformarsi in una Argenzuela: stiamo parlando dell’Argentina.
La giunta militare genocida che nel 1976 aveva preso il potere con un colpo di Stato era ormai arrivata alla fine dei suoi giorni: sia per una crisi economica impressionante che per una politica, sia interna che internazionale, dovuta alle proteste che ormai attraversavano tutto il Paese fomentate anche dallo scandalo dei “desaparecidos” che ormai aveva eco internazionale. Se a questo aggiungiamo che pure all’interno del potere militare c’erano divisioni di estrema importanza, ecco prendere la decisione di spostare l’interesse della popolazione su un fatto che sicuramente poteva unirla e far dimenticare tutto: la questione (pure qui di lunghissima data) sulle Isole Falkland/Malvinas, che dal 1833 erano possedimento inglese.
Il 2 aprile l’allora Presidente Generale Gualtieri annunciò la decisione di occupare militarmente l’arcipelago conteso con un discorso dalla Casa Rosada di fronte a quasi due milioni di persone entusiaste dell’avvenimento. Ma la pronta reazione della Gran Bretagna dell’allora Primo ministro Margaret Tatcher, con l’invio di una flotta e l’appoggio degli Stati Uniti e quasi tutto il mondo occidentale, provocò un conflitto che si risolse il 14 giugno sempre del 1982 con la resa dell’Esercito argentino e la conseguente caduta del regime militare.
Come si può vedere l’attuale situazione tra Venezuela e Guyana sembra essere un copia incolla della situazione appena descritta: solo che qui non solo l’esercito della seconda ha occupato le frontiere, ma gli Stati Uniti hanno annunciato lì esercitazioni militari. Nella questione è intervenuta pure la Gran Bretagna, che critica apertamente Maduro per la sua azione nei riguardi di frontiere che sono state create due secoli fa: ciò fa prevedere che in caso di invasione il Venezuela verrebbe a trovarsi, come l’Argentina nel 1982, praticamente isolata.
Nel frattempo il chavismo, sul fronte interno, ha emesso ed eseguito mandati di cattura nei confronti di vari leader dell’opposizione, usando la stessa tattica che anni fa ebbe l’effetto di dividere il fronte politico facendo cadere la leadership di Guaidò. Ma ora la questione è differente, visto che Corinne Machado ha annunciato addirittura “conversazioni con figure del chavismo per raggiungere un accordo nazionale che possa fortificare l’uscita di un leader che sta mettendo in atto una tattica radicale ma perdente”.
Ora bisognerà vedere se, senza entrare apertamente in una guerra che avrebbe conclusioni catastrofiche non solo per il regime, ma anche per il Paese, Maduro deciderà di farsi da parte e ritirarsi nel suo già molte volte citato “esilio dorato” o se invece inasprire la questione e, in questo caso, disegnarsi un futuro non proprio “roseo”.
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