È notizia di ieri lo stop della Regione Lazio ai respiratori cinesi considerati pericolosi in quanto acquistati dalla Protezione Civile ma risultanti privi di marchio CE e senza neanche i minimi standard di sicurezza: ora l’inchiesta però si allarga e oggi su “La Verità” emergono nuovi inquietanti dettagli in merito alla vicenda dei ventilatori in arrivo dalla Cina. Mentre impazza ancora l’indagine sulle mascherine “farlocche” acquistate dal commissario Arcuri nei primi mesi dell’emergenza Covid-19, sotto l’occhio attento degli inquirenti ora è l’acquisto di 140 ventilatori effettuata dall’allora Capo della Protezione Civile Angelo Borrelli il 13 marzo 2020.
Si era in quel momento appena al secondo giorno del lockdown totale e ancora la struttura commissariale di Arcuri non era stata creata: scrive però “La Verità”, «Domenico Arcuri faceva avanti e indietro dal Dipartimento ministeriale che fa capo alla presidenza del Consiglio dei ministri (verrà formalmente nominato il 18 marzo)». Dalle email giunte in possesso dei colleghi de La Verità, vi sarebbe anche il nome di Massimo D’Alema in quanto avrebbe rassicurato i fornitori di Pechino in merito all’acquisto dei suddetti respiratori.
LE NUOVE ACCUSE SULLA GESTIONE DELLA PANDEMIA
La mail è stata inviata da un indirizzo dell’impresa cinese “Silk Road Global Information Limited” e nell’oggetto vi si legge “contratto confermato”: «Tra gli allegati ci sono le schede tecniche dei ventilatori cinesi denominati Aeonmed Vg70», ovvero quelli “stoppati” ieri dalla Regione Lazio per le verifiche sull’autenticità e standard di sicurezza. La mail poi chiarisce che proprio l’ex Premier dem Massimo D’Alema, oggi in quota LeU (lo stesso partito del Ministro Roberto Speranza) e vicino all’ex commissario Arcuri – avrebbe garantito sull’acquisto del Governo Conte: ecco il testo pubblicato oggi da “La Verità”, «Carissimi, abbiamo appena ricevuto informazioni dall’onorevole D’Alema Massimo che il vostro governo acquisterà tutti i ventilatori nella lista che ho allegato a questa e-mail. E accettiamo i termini del pagamento che avete concordato. Quindi acquisteremo tutti i 416 set di ventilatori per voi il prima possibile. Grazie per la vostra fiducia in noi. Faremo del nostro meglio per servire i vostri interessi».
Lo scrivono i fornitori dalla Cina e lo indirizzano al capo Borrelli, al dirigente di Invitalia Roberto Rizzardo (poi scelto da Arcuri come responsabile degli acquisti nella nuova struttura commissariale) e Silvia Fabrizi, la quale pochi giorni dopo «diventerà la prima referente di Mario Benotti e Andrea Tommasi per la famosa maxi fornitura da 801 milioni di mascherine cinesi costata 1,25 miliardi di euro». 19mila euro a singolo ventilatori, costo complessivo della commessa è 2,66 milioni di euro più Iva (a carico dei contribuenti): ora però quelli stessi respiratori entrano nel mirino delle inchieste sulla presunta inefficacia, esattamente come avvenuto con la partita di mascherine anti-Covid per la quale Arcuri rischia di essere indagato (l’ex commissario ieri ha smentito lo scoop rilanciato proprio da La Verità, ndr). Il nuovo caos sui ventilatori cinesi emerge da una interrogazione presentata al Consiglio regionale del Lazio da Daniele Giannini (consigliere della Lega), citando il rapporto trasmesso dalla Beijing Aeonmed Co Ltd al ministero della Salute: in quel documento si legge «i ventilatori per terapia intensiva Aeonmed Vg70 dotati di una precisa versione software, non posseggono il sensore di pressione atmosferica incorporato e siano stati immessi sul mercato con istruzioni per l’uso errate, in quanto indicano la presenza di un sensore in realtà assente».