La scuola? “Un grave errore lasciare i bambini a casa dei nonni”. Le vacanze? “Si possono fare, ma bisogna evitare le spiagge super affollate”. Il campionato di calcio? “A porte chiuse si può tornare a giocare”. La seconda ondata? “Qualcuno si ammalerà, i comportamenti dei singoli e il rispetto delle procedure di sicurezza avranno un ruolo cardine”. La fase 2? “La prima fase di questa pandemia ha colto tutti impreparati, ma ora sappiamo meglio come vanno gestiti i malati”. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs di Bergamo, riconosce che gli italiani hanno “consapevolezza di quello che è accaduto e di quello che potrebbe accadere” e questo “buon punto di partenza” può aprire a un ritorno alla vita sociale, anche se “dovremo adattarci a modalità nuove”. E soprattutto, non ripetere gli errori commessi su ospedalizzazione, medicina del territorio e Rsa.
È iniziata la fase 2. Come ci siamo arrivati? E siamo pronti ad affrontarla?
La presa di coscienza da parte dei cittadini è cambiata, c’è consapevolezza di quello che è accaduto e di quello che potrebbe accadere. E questo è un buon punto di partenza. Ci saranno altri malati, lo sappiamo, ma sappiamo anche che molto, moltissimo dipenderà dai comportamenti individuali. La prima fase di questa pandemia ha colto tutti impreparati, nessuno si aspettava una cosa del genere, ma ora sappiamo meglio come vanno gestiti i malati.
Il governo ha adottato molti Dpcm prevedendo regole di comportamento contorte. Secondo lei, quali sono le precauzioni base da osservare per garantire una certa soglia di sicurezza?
Il distanziamento sociale, il rispetto delle distanze individuali, viene prima di mascherine, lavaggio delle mani e guanti. Dobbiamo capire che per un po’ di tempo la nostra vita sociale e culturale dovrà cambiare, dovremo adattarci a modalità nuove per andare al ristorante, nei bar, al cinema, allo stadio, ma credo che la gente l’abbia capito: spero di non essere smentito.
Quattro milioni e mezzo di italiani sono tornati a muoversi. Dobbiamo aspettarci nuovi focolai? E se sì, meglio circoscriverli subito istituendo zone rosse o tornare alla casella di partenza, ripristinando il lockdown?
A giugno potrebbe succedere, ma non con lo scenario peggiore. Dovremo gestire la situazione con la capacità di adattare la risposta, soprattutto isolando subito le persone contagiate. Adesso sappiamo come si fa.
Le scuole non riapriranno fino a settembre. Giusto tenerle chiuse fino ad allora o si potevano sfruttare questi mesi per aperture graduali o per forme sperimentali?
I bambini si infettano di meno e raramente si ammalano. I loro genitori – più o meno giovani – difficilmente sviluppano malattie importanti. Invece noi lasciamo le nuove generazioni a casa dei nonni. A mio avviso, un grave errore perché loro sì che si possono ammalare e morire. La riapertura delle scuole è oggetto di ampio dibattito in molti paesi. Gli esperti avvertono delle ampie implicazioni educative, sociali ed economiche della chiusura prolungata delle scuole.
A giugno lei prevede una seconda ondata. Per affrontarla quali lezioni dobbiamo assolutamente tenere a mente dopo questa prima emergenza?
Qualcuno si ammalerà, quanti e in quale momento non si può presumere. I comportamenti dei singoli, il rispetto delle procedure di sicurezza avranno un ruolo cardine. Ma inciderà anche l’immunizzazione della popolazione, delle persone che hanno già contratto il Covid e sviluppato gli anticorpi. I dati generali indicano un’immunizzazione tra il 4 e il 7%, ma credo che per Bergamo, e forse per la Lombardia, si possa arrivare anche al 30%.
Si potrà andare in vacanza? E come? I limiti territoriali, cioè l’obbligo di restare nella Regione in cui si vive, sono giustificati?
Andare in vacanza si potrà, sulla spiaggia si dovranno avere le stesse precauzioni che si hanno per strada, al supermercato, al bar e nei locali pubblici. In altre parole, le spiagge superaffollate vanno certamente evitate.
Il ministro Spadafora vorrebbe annullare il campionato di Serie A. Il calcio in Italia è un fatto di costume che aiuta al ritorno alla normalità, oltre che un volàno economico. È sensata la sua interruzione?
Secondo me, il calcio può riprendere a porte chiuse, naturalmente con test adeguati sui giocatori.
Ospedali, medicina del territorio e Rsa. Che cosa bisogna fare per evitare altri errori?
Questa è una malattia che va intercettata precocemente e curata da subito a casa, in isolamento personale. Diagnosi precoce, unità mobili per radiografie ed ecografie, ossigeno, saturimetro, visite mediche domiciliari, non solo al telefono: tutto questo deve essere garantito. Non è stato così nella prima fase, perché non si era pronti, nessuno lo era. Abbiamo capito che nella maggior parte dei casi questa malattia può essere affrontata a domicilio. Può prendere una brutta piega nel 20% dei casi e nel 90% di questi peggioramenti si tratta di persone anziane, spesso con altre patologie. Nella cura sul territorio, è evidente, i medici di medicina generale hanno e dovranno avere un ruolo fondamentale. Anche dei nostri anziani non ci siamo occupati. La prima volta è magari comprensibile, tutto il mondo ha commesso gli stessi sbagli. La seconda sarebbe imperdonabile. Occorre preparare le Rsa per un eventuale ritorno della pandemia. Fare subito il test all’ingresso degli anziani, e periodicamente agli operatori. Limitare le visite. Al momento non ho visto nulla di questo nei piani del governo.
Lei è preoccupato per la situazione della Lombardia, regione più colpita e ancora più a rischio? Vede rischi maggiori altrove?
In questo momento le cose in Lombardia stanno andando bene, l’epidemia si sta esaurendo, certo potrebbe riprendere con la riapertura delle attività lavorative, perché la Lombardia ha un’intensità di popolazione e di attività commerciali e industriali che rendono possibile in qualunque momento una ripresa dell’epidemia, se non si fa attenzione. I rischi sono dappertutto, possono però essere mitigati dalle precauzioni che si prendono e dall’avere a disposizione presidi di protezione individuale: questo è il vero problema.
La Ue ha presentato un’alleanza per il vaccino, in cui l’Italia contribuisce con 140 milioni. Lo Stato fa poco o tanto su questo fronte?
L’Italia fa quello che può, naturalmente è molto meno di quello che fanno le altre nazioni, ma non è questo il solo campo in cui siamo in difetto rispetto all’Europa.
(Marco Biscella)