“Chiudere Alzano il 3 marzo cosa avrebbe cambiato, anche solo per la Provincia di Bergamo?”. A chiederlo è Marco Trivelli, direttore generale della sanità lombarda. E la risposta è spiazzante: poco o nulla. Il problema va cercato altrove, soprattutto va cercato prima, tra gennaio e febbraio, quando il virus ha cominciato a circolare e a manifestarsi attraverso quelle “polmoniti atipiche”, da Piacenza a Brescia, che solo più tardi hanno avuto un nome preciso: Covid-19.



Intanto emerge una contraddizione nella versione di Conte, che il 12 giugno scorso aveva detto ai pm di Bergamo “quel documento non mi è mai arrivato”, riferendosi al verbale del Comitato tecnico-scientifico che suggeriva “di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della zona rossa”. Ieri al Fatto Quotidiano il presidente del Consiglio ha detto di essere venuto a conoscenza del verbale il 5 marzo.



“Ha senso voltarsi indietro” dice Trivelli “ma per cercare di capire un fenomeno nella sua interezza. Non si può ridurre la comprensione del dramma che c’è stato a un verbale del Cts”.

Cosa pensa della mancata zona rossa di Alzano e Nembro? Il Comitato tecnico-scientifico era stato chiaro.

Non ero in Regione, non ho esperienza diretta di come sono maturate le scelte di quei giorni. Ma certo c’erano pochissime sicurezze. Non conoscevamo nulla del Covid, e, ci tengo a dirlo, ne sappiamo poco ancora adesso. Oggi si può anche pensare che si poteva fare diversamente, chiudendo Alzano come Codogno, ma poi?



Cosa intende dire?

Chiudere Alzano il 3 marzo cosa avrebbe cambiato, anche solo per la Provincia di Bergamo? L’epidemia era estesa da Piacenza a Brescia, attraversando la Bergamasca e il Cremonese. Io credo sia stato sensato fare il lockdown totale,  ha difeso tutti.

Dunque non ravvisa incertezze e titubanze che avrebbero permesso al virus di diffondersi?

Il Governo ha attuato il lockdown a cominciare dalla Lombardia tra il 7 e l’8 marzo, e il 9 marzo per la restante parte del territorio nazionale. Quattro giorni, in quelle condizioni, passano in fretta per una decisione di quella portata.

Lei dov’era in quei giorni?

Ero direttore generale degli Spedali Civili di Brescia. È stato l’ospedale con più pazienti Covid ricoverati di tutta la Lombardia. Sapevo della situazione a Bergamo perché l’assessore (Gallera, ndr) ci riuniva in collegamento web e tutti i direttori generali esponevano la situazione. Quando toccava a Bergamo il resoconto era preoccupante, drammatico.

Le leggo un passo del verbale: “Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molte probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta pertanto che l’R0 è sicuramente superiore a 1, il che costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio”.

Sui chi doveva prendere decisioni a livello nazionale, così come a livello regionale, c’erano da parte dei tecnici spinte contrastanti, addirittura opposte. Nella settimana precedente il 3 marzo c’erano stati appelli di tre sindaci lombardi (Sala di Milano, Gori di Bergamo, De Bono di Brescia, ndr) contro le chiusure…

Fontana aveva già detto che bisognava chiudere tutto.

È vero, aveva intuito prima di molti altri l’importanza della distanza e dell’isolamento per contrastare il Covid. Ma i cori per l’apertura cantavano all’unisono o quasi. Il dramma si manifestò in tutta la sua portata soltanto pochi giorni dopo. Per intenderci, il 7 marzo, era il mio compleanno, siccome non potevo allontanarmi dall’ospedale la mia famiglia venne a trovarmi a Brescia. Il ristorante era pieno, il centro di Brescia era pieno zeppo di gente come se il virus non ci fosse. In questo contesto, che peso poteva assumere la notizia di contagi tra Nembro e Alzano?

Ce lo spieghi lei…

Non mi sentirei di escludere che all’8 marzo, giorno del lockdown, in Lombardia potessero esserci già 100mila contagi.

Contro i 4.189 registrati dall’Iss in quel giorno?

Sì. Se è così – e lo confermano gli sviluppi dell’epidemia a Piacenza, Cremona e Brescia, che hanno gli stessi dati di infezione e di mortalità – anche chiudendo Alzano e Nembro non sarebbe cambiato nulla. Ripeto, all’epoca Alzano non era la chiave del problema. Credo che invece, in prospettiva, risulterà più grave che si stesse a discutere se e in che modo eravamo stati contagiati da persone provenienti da Wuhan quando l’infezione era in casa nostra da almeno due mesi.

Quali conclusioni ne trae?

La provincia di Bergamo non credo si sia infettata per Alzano e Nembro. Le Rsa nel bergamasco non sono state infettate dagli abitanti di Alzano e Nembro. Chi lavorava lì era già portatore e chi era più anziano, essendo più esposto, era già contagiato la prima settimana di marzo.

Le inchieste di questi giorni sui verbali del Cts, gli speciali dei giornali, i tanti instant book che circolano su questa vicenda?

Potrebbero avere l’effetto indesiderato di farci capire ancor meno che cos’è il Covid. 

Perché dice questo?

Ha senso voltarsi indietro, ma per cercare di capire un fenomeno nella sua interezza. Non si può ridurre la comprensione del dramma che c’è stato a un verbale del Cts. Chiudendo Nashville, gli americani avrebbero risparmiato gli Usa dal Covid? Questo approccio è fuorviante e non ci serve.

Che cosa ci serve dunque?

Capire perché il virus era ed è così contagioso. Bastava guardare un’altra persona e venivi contagiato. Perché? Non sappiamo ancora come curarlo, non sappiamo come si comporterà nei prossimi mesi. Soprattutto, eviterei di mettermi alla ricerca del fatto “x” – un verbale, un’omissione, una decisione politica, e via dicendo – trovato il quale ci illudiamo di capire tutto quello che è venuto dopo.

Secondo un’indagine sierologica dell’Iss in Lombardia ci sarebbero 700mila contagi. Lei cosa dice?

Io ho sempre ritenuto che fossero il doppio e ancora oggi credo che il numero sia superiore.

Gli organi di informazione hanno ripreso a mettere in evidenza i bollettini dei contagi. Però le terapie intensive sono vuote.

I pazienti sono asintomatici ma il contagio è ancora diffuso. Questa settimana abbiamo trovato 100 contagiati su 200 addetti di una fabbrica di Mantova. Non sono contagi vecchi, ma nuovi. 

Dunque il virus c’è e circola.

Circola eccome. Ha ragione Zangrillo a dire che ora non è pericoloso, ma c’è e si diffonde. Anche adesso che sotto il profilo clinico siamo tranquilli, io sono per fare più tamponi possibili. Stiamo continuando a fare screening, anche in agosto.

A che scopo?

Più sintomatici troviamo adesso, più li isoliamo, più abbiamo speranza di bloccare il virus se la situazione dovesse peggiorare.

(Federico Ferraù)

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