Il 19 maggio sarebbe tecnicamente la data della chiusura definitiva del campionato, ma possiamo comunque utilizzarla: 35 anni fa il Verona di Osvaldo Bagnoli batteva l’Avellino 4-2 – vendicando l’imprevista sconfitta dell’andata – e portava a termine una meravigliosa cavalcata che, già la settimana prima con il pareggio di Bergamo, aveva consegnato lo scudetto. Un’impresa titanica, uno dei tricolori più inaspettati nella storia del nostro calcio: paragonabile forse a quello del Cagliari di 15 anni prima, ma già a suo modo unico perché negli anni Ottanta c’erano corazzate decisamente superiori (sulla carta). Forse il confronto più veritiero, lasciando stare il budget assoluto, sarebbe quello con il Leicester; se vogliamo però le Foxes hanno fatto di più, perché l’anno prima avevano sfiorato la retrocessione. Il Verona invece da qualche anno aveva incantato l’Italia con risultati sopra le righe: lo scudetto resta comunque un mezzo miracolo, ma potremmo dire che oggi è come se lo vincesse l’Atalanta (e anche qui, con le diversità del caso prima di scatenare un dibattito infinito e senza via di uscita).



Il Verona nel 1981 è in Serie B, essendoci finito due anni prima; la squadra viene affidata a Osvaldo Bagnoli, milanese di periferia Nord, ex giocatore dell’Hellas e reduce dalla promozione con il Cesena. La scelta del presidente Celestino Guidotti è quella giusta: spinti dai gol di Domenico Penzo, che presto passerà alla Juventus, gli scaligeri vincono il torneo davanti a Sampdoria e Pisa e si prendono la Serie A. L’anno seguente stupiscono tutti con la quarta posizione e la finale di Coppa Italia (persa contro la Juventus), conoscono la realtà di Coppa Uefa e restano in alta classifica (sesti) anche nel 1984, tornando a giocarsi la coppa nazionale ma cadendo di fronte alla Roma. Nell’estate 1984 partono Francesco Guidolin e Joe Jordan (che torna in Inghilterra), la società regala a Bagnoli il terzino tedesco Hans-Peter Briegel e il danese Preben Elkjaer Larsen, che ha segnato caterve di gol nel Lokeren ed è all’apice della carriera.



VERONA CAMPIONE D’ITALIA 1985: L’INIZIO

Di scudetto naturalmente non si parla, se non che il Verona schizza subito in testa: apre il campionato battendo il nuovo Napoli di Diego Maradona, a ottobre ha un primo test probante con un trittico di partite di cartello ma ne esce battendo la Juventus (gol dell’ex Giuseppe Galderisi e Elkjaer) e pareggiando senza reti sui campi di Inter e Roma. La difesa sarà fondamentale per Bagnoli: subendo 19 gol sarà la meno battuta del torneo, anche grazie alle parate di Claudio Garella del quale l’avvocato Agnelli dirà che “è l’unico portiere che non para con le mani”, e che poi sarà campione d’Italia anche a Napoli. Ad ogni modo, l’Hellas arriva imbattuto all’ultima giornata di andata: a metà gennaio cade ad Avellino a causa di una “preghiera” di Angelo Colombo su un campo ai limiti della praticabilità, ma si laurea comunque campione d’inverno in solitaria. L’ambiente inizia davvero a sognare, anche se naturalmente le big restano sornione e in attesa di qualche passo falso.



LA CONSAPEVOLEZZA

La Juventus però arranca, distratta dalla possibilità di vincere la prima Coppa dei Campioni (che otterrà nella tragica serata dell’Heysel), la Roma non è la stessa del 1983 e così l’Inter di Ilario Castagner è la prima inseguitrice a operare l’aggancio. I nerazzurri, forti del neo arrivato Karl-Heinz Rummenigge affiancato al fenomenale Spillo Altobelli, sembrano diventare i favoriti d’obbligo ma non tengono il passo. Salgono di colpi Sampdoria e, soprattutto, il Torino che può contare su Aldo Serena e Walter Schachner; tuttavia a febbraio arrivano partite con le quali il Verona non solo allunga sulla concorrenza, ma capisce anche di potercela davvero fare. A Udine va 3-0 al 20’, ma nel secondo tempo incassa tre gol in un quarto d’ora; potrebbe essere la gara che infrange i sogni, invece Elkjaer e Briegel la risolvono in tre minuti. Poi c’è il terzetto da incubo, ma i gialloblu fermano l’Inter nella sfida diretta e restano davanti, poi pareggiano sul campo della Juventus – ci pensa Antonio Di Gennaro, due minuti dopo il vantaggio di Massimo Briaschi – infine Elkjaer piega la Roma.

LO SCUDETTO VINTO A BERGAMO

Bagnoli ha sempre detto che la partita della consapevolezza è stata quella di Torino; da quel momento il Verona sbaglia poco o nulla. Lo fa per esempio al Bentegodi contro i granata, che impongono alla capolista la prima e unica sconfitta interna della stagione; tuttavia i punti di vantaggio sono già diventati 6 (e ce ne sono 2 per vittoria), in più nelle giornate seguenti Torino, Inter e Sampdoria perdono terreno. A Bergamo, il 12 maggio, serve un pareggio: Eugenio Perico porta in vantaggio un’Atalanta senza più obiettivi, Elkjaer al 51’ sigla il gol dello scudetto. E’ storia: la settimana seguente viene battuto l’Avellino in un clima di festa. Giuseppe Galderisi segna l’undicesimo gol del campionato e si conferma cannoniere della squadra; Briegel ne porta in dote 9 che per un terzino (e considerati i tempi) sono un’enormità, il danese volante ne segna 8. Quella formazione passa alla storia, inevitabilmente: Garella in porta, Roberto Tricella come libero, Domenico Volpati e Silvano Fontolan in marcatura, Luciano Bruni il mediano davanti alla difesa con Luciano Marangon ideale terzino sinistro con Pierino Fanna incursore a destra, Briegel ad accompagnare la regia di Di Gennaro, Elkjaer in appoggio a Galderisi.

Quel gruppo sarebbe idealmente finito nel 1990: ancora quarto in campionato nel 1987, avrebbe poi vissuto un lento e inesorabile declino fino alla retrocessione, che avrebbe sancito l’addio di Bagnoli. Il milanese si sarebbe confermato al Genoa, portando il Grifone in semifinale di Coppa Uefa; ironia della sorte, non sarebbe nemmeno servito il famosissimo 2-1 al Milan costato lo scudetto ai rossoneri, in una replica della fatal Verona di qualche anno prima. Del gruppo dello scudetto non restava più nessuno, se non Bagnoli e Pietro Fanna, nel frattempo diventato capitano: dopo il tricolore era andato all’Inter, tornando alla base quattro anni più tardi. Sarebbe rimasto all’Hellas fino al 1993, smettendo di giocare a 35 anni: con il suo ritiro, è stata scritta definitivamente la parola fine su quel Verona dei miracoli ma non la cancellazione di una storia straordinaria, che ancora oggi è ricordata come un fantasy irresistibile.