Dopo la sentenza della Cassazione che ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dalla difesa di Veronica Panarello, condannata dunque a 30 anni di carcere per l’omicidio del figlio Lorys Stival, è il suo avvocato Francesco Villardita ad esporre tutto il suo malcontento rispetto a questa decisione dei giudici ai microfoni di Quarto Grado. Ma come ha reagito la mamma di Santa Croce Camerina a questa sentenza? “Non lo so perché non ho parlato con Veronica – spiega l’avvocato – L’ultima volta l’ho vista 10 giorni fa, non aveva grandi aspettative, anche perché la Cassazione non è un giudizio di merito, il vero processo si fa in primo e secondo grado“. Villardita continua: “Io in questa vicenda purtroppo devo dire questo: noi ci troviamo di fronte ad una mamma che uccide un figlio senza un movente, che uccide un figlio non con dolo d’impeto, non con premeditazione e che nello stesso tempo non ha un disturbo di personalità così grave e tale da trovare un movente. Perché Veronica Panarello ha ucciso il figlio? La sentenza di primo grado aveva detto perché il bambino non voleva andare a scuola, il processo d’appello ha detto che non era così: è un processo senza movente“. (agg. di Dario D’Angelo)



VERONICA PANARELLO, RICORSO “INAMMISSIBILE”

E’ giunta nella serata di ieri la decisione della Cassazione su Veronica Panarello, imputata per il delitto del figlio di 8 anni, Lory Stival, ucciso il 29 novembre di cinque anni fa. Per la mamma 31enne di Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa, si chiude definitivamente ogni speranza di far valere la sua tanto ribadita innocenza, con la decisione dei giudici del terzo grado di confermare la sentenza di condanna inflitta da due precedenti Tribunali che avevano riconosciuto a suo carico una pena a 30 anni di carcere. Il caso sarà al centro della nuova puntata di Quarto Grado che analizzerà la decisione della Suprema Corte di Cassazione, giunta dopo diverse ore di Camera di Consiglio, al termine della quale i giudici hanno ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla difesa della donna, rappresentata dall’avvocato Francesco Villardita, confermando così la condanna a 30 anni per Veronica. Secondo la Giustizia italiana, fu lei la sola responsabile del delitto del figlio primogenito, strangolato in casa la mattina del 29 novembre 2014 e poi gettato senza vita in un canale poco distante dalla sua abitazione per ragioni mai rese note.



VERONICA PANARELLO CONDANNATA IN CASSAZIONE

La difesa di Veronica Panarello aveva puntato tutto su due argomenti centrali: il disturbo della personalità e il concorso di terzi, chiedendo l’assoluzione per la sua assistita. Tuttavia, la prima sezione penale della Cassazione, presieduta da Adriano Iasillo, ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputata ed ha confermato la condanna giunta lo scorso anno in Appello a Catania e che ricalcava i 30 anni già inflitti nel primo grado del 2016 dal Gup Andrea Reale, presso il tribunale di Ragusa. La Panarello ha appreso della sentenza direttamente dalla sua cella nel carcere Le Vallette di Torino dove è detenuta e dalla quale era stata descritta come “molto scossa” già in mattinata, in attesa di conoscere la sua sorte. Un destino in qualche modo già segnato e per il quale, di fatto, la sua difesa si è avvicinata alla Cassazione senza alcuna aspettativa. Il procuratore generale Roberta Maria Barberini della Cassazione, nel corso della sua requisitoria che ha anticipato la Camera di Consiglio, ieri aveva chiesto proprio la condanna a 30 anni. Per l’accusa la Panarello era perfettamente capace di intendere e di volere al momento dell’omicidio del piccolo Lorys Stival.



LA REQUISITORIA DEL PG

Nessuna attenuante: era stata questa l’ulteriore richiesta del pg ai giudici della Suprema Corte in merito a Veronica Panarello. Richiesta motivata da una serie di ragioni, indicate proprio nel corso della requisitoria conclusiva: “per l’assenza di resipiscenza, per la sua condotta processuale, per la gravità del delitto e per l’occultamento del cadavere”. Il procuratore generale aveva inoltre ribadito l’assenza di un nesso “tra i tratti istrionici e narcisistici della personalità di Veronica e il delitto del quale è accusata”. La donna, nella sua ultima versione fornita nel corso degli anni aveva puntato il dito contro il suocero Andrea Stival, nonno paterno della vittima, indicandolo come il solo autore del delitto del figlioletto. Sebbene il nonno sia stato ritenuto estraneo alle accuse, anche il pg aveva ribadito in aula, poche ore prima della sentenza di condanna di terzo grado: “La chiamata in correità del suocero è stato l’ennesimo tentativo di manipolazione messo in campo dalla donna”. Ed ancora, aveva aggiunto, “Non è rilevante la tesi difensiva che il delitto sia stato commesso d’impeto, rilevante è piuttosto la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato”. Gli “ermellini” hanno dato ascolto alle parole del pg e dopo diverse ore di Camera di Consiglio sono giunti alla loro decisione definitiva.