Comincia oggi il cammino alla scoperta dei film nominati ai prossimi Oscar, che si svolgeranno il 27 marzo.
Il senso o la necessità di un remake, quindi non le ripartenze di serie o marchi di successo, ma i rifacimenti di un singolo film, è di solito quello di portare una storia e delle idee presso un pubblico nuovo in senso storico o geografico, questo perché il mercato americano è ancora molto chiuso nei confronti dei film parlati in altre lingue e quindi alla pratica dei sottotitoli (ancora meno a quella del doppiaggio, che si sta aprendo solo negli ultimi tempi). I segni del cuore (Coda) – disponibile sulle principali piattaforme di streaming – è un esempio lampante di cosa è e come si faccia un remake.
Diretto da Sian Hader e candidato a tre premi Oscar (film, sceneggiatura, Troy Kotsur che interpreta il padre), il film parte da La famiglia Bélier, film francese del 2014 che fu un successo clamoroso anche in Italia, ma che si attirò moltissime critiche da parte della comunità sorda per il modo in cui dipingeva quella comunità e anche perché usava attori udenti per interpretare personaggi che non lo erano. La storia, quella di una famiglia di sordi dalla nascita e della figlia, unica del nucleo a non esserlo, anzi ad avere un talento canoro che vorrebbe sfruttare nonostante i parenti vorrebbero tenerla con loro perché “interprete” con il resto del mondo, viene presa dalla regista, anche sceneggiatrice, e tradotta per un pubblico e per un cinema statunitense.
Fin dal titolo originale (CODA che può indicare il finale di una composizione musicale, ma è l’acronimo di Child of Deaf Adults, figlio/a di adulti sordi), Heder si dedica in primis a mostrare e raccontare il rapporto tra il mondo di chi non sente e si esprime tramite la lingua dei segni e chi invece oltre a sentire produce suoni, ha le note come grande passione, facendo un lavoro sottilmente antropologico dentro un leggero dramma familiare. Oltre al lavoro sulla comunità sorda – gli interpreti dei personaggi non udenti lo sono davvero, a partire da Marlee Matlin (premio Oscar per Figli di un dio minore) -, Heder adatta bene il racconto a un contesto americano e a una precisa ideologia dell’America profonda, quella della piccola comunità contro il giogo delle grandi istituzioni, raccontando in questo caso i pescatori del Massachussettes, ma anche l’individualismo di chi decide di abbandonare costumi e tradizioni per affrontare l’ignoto e dare sfogo alle proprie vocazioni.
Dove però il film segna un vantaggio rispetto all’originale, è nell’aver tolto quell’eccesso di melassa e leziosità che rendevano il film di Lartigau una sorta di espansione dell’universo di Maria De Filippi, fatto di talento ostinato e casi umani, in cui la lacrima aveva il primissimo posto rispetto a ogni tipo di considerazione dei personaggi; Heder rende I segni del cuore più spontaneo, un po’ più realistico, fa della commozione la conseguenza di un percorso, non il fine ultimo della sua creazione.
Certo, non esce mai dal suo seminato, da quel misto tra film per teenager figlio di Glee e dei talent-show e dramma familiare, non si azzarda praticamente mai a fare qualcosa oltre o contro le convenzioni del pubblico a cui si riferisce (e il premio vinto al Sundance Film Festival dice più dello stato del festival che del valore del film), però lo fa con dignità e un certo gusto filmico, come nel momento in cui la famiglia va a vedere la figlia (Emilia Jones) cantare e, non potendo sentire la musica, deduce il livello dello spettacolo dalle reazioni degli spettatori.
Così facendo, I segni del cuore non solo migliora l’originale (almeno a giudizio di chi scrive), ma rende sensato il gesto stesso del suo rifacimento, lo immette in un contesto culturale, ne amplia l’orizzonte, pur nei limiti che più che al primo Oscar sembra guardare a una tranquilla serata familiare.
I segni del cuore (Coda) è disponibile nei formati DVD e Blu-ray grazie a Eagle Pictures
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