Facciamo giusto due conti.
Per la pandemia, abbiamo fatto deficit per oltre 180 miliardi di euro. Certo, poi a un certo punto l’Europa ha capito che la situazione era grave e rischiavano grosso tutti, non solo l’Italia, e quindi a noi sono arrivati i 200 e più miliardi del Pnrr. Ad essere precisi, non sono ancora arrivati tutti i fondi e il resto dovremo sudarceli. Ricordandoci sempre che dovremo restituirli tutti.
Ora finalmente qualcuno, pur con drammatico ritardo (sì, perché un primo aumento del 100% del prezzo del gas – da circa 20 a oltre 40 euro/MWh; a guardare oggi quelle cifre c’è da sorridere amaramente – era già avvenuto l’anno scorso, in tempi non sospetti, ben prima dell’inizio della guerra della Russia all’Ucraina) inizia a capire che ciò che ci attende nel prossimo inverno, anzi ancora prima, nelle prossime settimane, potrebbe avere un effetto forse più dirompente di una pandemia.
In effetti, il virus ha contagiato moltissimi, ma non tutti, e comunque la gran parte in modo lieve o non severo. Ma ci ha costretto al lockdown.
Invece, quando il costo del gas e quello della collegata energia elettrica aumentano non del 10 o 20%, ma del 1000%, le aziende “energivore” (cioè quei settori industriali che per produrre consumano moltissima energia – acciaierie, cartiere, cementifici, tessile, etc.) sono colpite a morte.
Anche le aziende cosiddette “non-energivore” vengono colpite in modo grave e rischiano di andare fuori mercato, perché i normali (spesso limitati) margini di guadagno vengono erosi, se non annullati, da una voce di costo che cresce a dismisura, ben oltre la fisiologica variabilità della congiuntura macroeconomica. Dalle pizzerie alle lavanderie, dalle sartorie alle carpenterie metalliche, c’è il serio rischio che molte non riaprano nei prossimi giorni. Mentre diverse aziende energivore hanno già deciso di non riavviare la produzione.
Non è finita qui, perché a differenza della pandemia, tutti – proprio tutti, nessuno escluso – saranno colpiti pesantemente nel quotidiano dallo tsunami dei costi energetici: dalle bollette del riscaldamento e della luce ai trasporti al carrello della spesa (il costo medio della pasta è già aumentato in media del 30%, se non ve ne siete accorti, e siamo solo all’inizio). E come per il Covid, a soffrirne maggiormente saranno anziani e pensionati. Ai quali però si aggiungeranno moltissime famiglie.
E quindi? Questo tsunami dei costi energetici rischia di essere addirittura peggio del Covid?
In un certo senso sì, perché per il virus si è riusciti, con uno sforzo scientifico e tecnologico immane, a produrre dei vaccini in tempi record (alcuni mesi invece di anni) e a risolvere sostanzialmente il problema. Una soluzione simile non è replicabile nel campo dell’energia, anche producendo uno sforzo tecnologico-industriale sovrumano: perché i tempi di progettazione-autorizzazione-costruzione di qualsiasi soluzione utile (dai pannelli fotovoltaici alle pale eoliche, dagli impianti idroelettrici alle trivellazioni di gas, ai reattori nucleari) richiedono alcuni anni, come minimo.
Tornando ai costi, le confindustrie del Nord stimano extra-costi per l’energia per circa 40 miliardi. Qualche altra decina potrebbe essere ragionevolmente stimabile per gli effetti sugli altri settori economico-industriali e per le famiglie e persone più in difficoltà. Saremmo comunque al di sotto delle cifre stanziate per costi, bonus e aiuti vari per la pandemia.
Abbiamo ridotto l’import dalla Russia, ma da lì ci mancano ancora circa 23 miliardi di metri cubi di gas. Con azioni di diversificazione degli approvvigionamenti e risparmio (ritardare l’avvio del riscaldamento, ridurre le temperature negli edifici, fare docce brevi, etc.) possiamo recuperarne ancora alcuni miliardi. Ma la coperta è corta, il razionamento di gas ed elettricità appare come l’unica soluzione realistica: sarebbe meglio saperlo subito e preparare tutti noi a questo scenario.
A livello europeo, intanto, oltre a una revisione dei fondi del Next Generation Eu (nel frattempo, infatti, l’inflazione in Europa è quasi al 10% e i contratti per i progetti del Pnrr sono stati siglati quando l’inflazione ancora non c’era: chi paga la differenza?) sarebbe opportuno valutare un’iniziativa simile per l’energia. Vedremo nel Consiglio d’Europa di metà settembre.
In definitiva, mentre l’Europa discute e cerca una soluzione comune – i tempi potrebbero non essere brevi, per le resistenze di alcuni Paesi e per l’indubbia complessità della situazione (sul tema, consiglio di leggere questo articolo) – e il governo in carica decide il da farsi a breve, passando poi la patata bollente al nuovo esecutivo che si formerà dopo il 25 settembre, noi intanto prepariamoci a un periodo non breve di austerity. Per i boomers è un ritorno a un passato già visto: anni 70, dopo la guerra israeliana del Kippur, embargo sul petrolio da parte dei Paesi arabi, benzina alle stelle, crisi petrolifera e quindi domeniche tutti a piedi, utilizzo dell’auto a targhe alterne, lampioni spenti nelle città e locali e uffici chiusi in anticipo. Questa volta sarà decisamente peggio.
P.S. In quel frangente, la Francia prese una decisione strategica: puntare sul nucleare quale fonte e tecnologia domestica con la quale ridurre la dipendenza strategica e garantire elettricità a costi certi. Di quella scelta ne sta beneficiando ancora oggi.
P.P.S. Lo abbiamo capito in questi mesi e purtroppo lo capiremo ancora di più sulla nostra pelle a breve: l’energia è cosa seria, complicata, non ci sono soluzioni facili, impatta pesantemente la vita di tutti nel quotidiano, richiede tempi lunghi di realizzazione e scelte strategiche lungimiranti. Questa campagna elettorale non aiuta: la speranza è che dopo il 25 settembre, chiunque riceva la responsabilità di governare, lo faccia affrontando il tema energetico (e non solo quello) pensando oltre se stesso.
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