Stiamo vivendo una settimana, tradizionalmente, calda per la politica italiana, quella che va dal 25 aprile, Festa della liberazione del Paese dal nazifascismo, appena alle spalle, e il 1° maggio in cui si festeggiano il lavoro e i lavoratori. Un legame particolarmente stretto se si pensa che i costituenti decisero di mettere proprio sul lavoro le fondamenta della nostra Repubblica democratica.
Che dire poi dell’articolo 4 della nostra Costituzione (un vero e proprio programma politico in pochi commi) che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto? Nello stesso articolo si sostiene, poi, che ogni cittadino ha il “dovere” di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
In questo contesto il Governo dei “Patrioti” guidato da Giorgia Meloni, dopo aver fatto un “outing” di, più o meno convinto, antifascismo convoca, proprio per il 1° maggio un Consiglio dei ministri dedicato proprio a un “Decreto lavoro” che dovrebbe semplificare il ricorso del contratto a termine dopo il Decreto dignità e “smantellare” il Reddito di cittadinanza, misura bandiera dei cinque stelle ai tempi del Governo “giallo-verde”.
Parallelamente i sindacati hanno già attivato a partire da questo mese una serie di iniziative per chiedere, e magari ottenere, dall’Esecutivo un netto cambiamento delle politiche industriali, economiche, sociali e occupazionali. Si chiede, in particolare, una maggiore tutela dei redditi dall’inflazione e l’aumento del valore reale delle pensioni e dei salari, partendo dal rinnovo dei contratti nazionali dei settori pubblici e privati.
Si immagina, inoltre, di operare per costruire un mercato del lavoro maggiormente inclusivo in grado di “dire no” alla precarietà e caratterizzato da un sistema di formazione permanente, di politiche attive e di ammortizzatori sociali nuovi e funzionali alle transizioni, verde e digitale, in corso.
Probabilmente un punto di incontro non lo si troverà il 1° maggio davanti a una birra post concertone di piazza San Giovanni. Tuttavia è da auspicare che le parti inizino, il prima possibile, un percorso di dialogo e ascolto, serio e credibile, sulle scelte da mettere in campo per rilanciare l’occupazione, magari anche di qualità.
Come dopo la Seconda guerra mondiale il Paese ripartì con il contributo di tutti, o quasi, anche oggi, dopo una pandemia e una guerra che è tornata a “colpire” la nostra Europa, servirebbe, infatti, per rilanciarlo, nel rispetto dei ruoli di ognuno, uno sforzo condiviso nell’interesse supremo della nazione.
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