La settimana scorsa la politica monetaria ha “parlato”. Con i tassi d’interesse. Negli Stati Uniti è iniziata una leggera decelerazione degli aumenti, mentre in Europa tanto la Banca centrale europea quanto la Banca of England hanno continuato sulla strada intrapresa da alcuni mesi. In effetti, in America del Nord l’inflazione dà segni di rallentamento più di quanto non si avverta in Europa. Inoltre, negli Usa è stato varato (e proprio in questi giorni inizia l’attuazione) un enorme programma di aiuti alle imprese sotto l’insegna, in gran misura, di agevolazioni alla transizione ambientale, mentre nell’Unione europea è stato appena proposto dalla Commissione un fondo sovrano comune da varare entro l’estate (RePower Eu) e aiuti di Stato (Invest Eu) nel breve termine per rispondere alle implicazioni anche commerciali provenienti da Washington.



Al termine della settimana che inizia oggi 6 febbraio, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo farà un primo esame delle proposte della Commissione e dovrebbe riflettere – il condizionale è d’obbligo perché al momento in cui scrivo questa nota, l’ordine del giorno non è stato ancora diramato – anche sulla riforma delcPatto di stabilità e crescita e sulle immigrazioni.



Cosa può aspettarsi l’Italia? Andiamo con ordine cominciando con il RePower Eu e il Invest Eu. Un “non paper” italiano ha già risposto entusiasticamente alle due iniziative. Ed è chiara la motivazione: l’Italia non ha la capacità di bilancio per finanziare i vasti programmi di transizione ecologica (e non solo) previsti nei due programmi, mentre altri Stati dell’Ue (soprattutto la Repubblica Federale Tedesca) hanno già varato programmi analoghi con le loro proprie risorse. Il Cancelliere Scholz lo ha detto chiaramente al presidente del Consiglio italiano Meloni nella visita di quest’ultima a Berlino del 3 febbraio.



La Danimarca, la Finlandia, l’Irlanda, i Paesi Bassi, la Polonia e la Svezia hanno redatto un “non paper” sugli stesi toni di quanto detto da Scholz; il documento è stato successivamente controfirmato anche dalla Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Lettonia e la Slovacchia. Difficile capire perché non abbia avuto eco sulla stampa italiana.

È probabile che il 9-10 febbraio la discussione vedrà due fronti contrapposti: uno nutritissimo degli Stati detti “frugali” del Nord e l’altro (poco numeroso) di quelli con alto debito pubblico che si bagnano sul Mediterraneo (Grecia, Francia, Italia, Spagna e Portogallo). Molto verosimilmente ci sarà solo uno scambio di vedute, sulla base del quale alla Commissione verrà chiesto di rivedere la sua proposta. L’Italia deve muoversi con grande cautela perché è la principale “indagata” di aspirare a fondi a basso costo garantiti dagli altri Stati dell’Ue con una più favorevole posizione di finanza pubblica. Sull’Italia grava ancora poi il peso di essere l’unico dei 27 a non avere ratificato la nuova stesura dell’accordo intergovernativo sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e di impedirne, quindi, l’utilizzazione da parte di altri, ove volessero accedervi.

RePower Eu e Invest Eu hanno, quindi, ancora molta strada da fare. E tutta in salita. Roma dovrebbe puntare su un alleggerimento delle procedure, senza farsi illusioni che aiuti di Stato, se non parsimoniosi e ben gestiti, potranno risolvere il problema della bassa produttività. Se lo potessero l’ex-Alitalia (che ha ingoiato 13 miliardi di euro di sovvenzioni) sarebbe non una compagnia aerea defunta, ma il maggiore vettore quanto meno del mondo occidentale e il Mezzogiorno la California dell’Ue.

Ci siamo già espressi in materia di riforma del Patto di stabilità e crescita. Come sottolineato da Lorenzo Bini Smaghi, la proposta della Commissione – monitorare la sostenibilità del debito tramite un algoritmo e la divisione degli Stati membri in tre fasce (ad alto rischio, a medio rischio, senza rischio) – contiene una trappola per l’Italia: finire (con la Grecia e forse un paio di altri) tra gli Stati ad alto rischio. Ciò ci chiuderebbe subito l’accesso al mercato internazionale e potrebbe essere il detonatore di una crisi analoga a quella del 2011. Si può aggirarla eliminando le fasce e chiedendo che la “sostenibilità” venga valutata da un team della Commissione, del ministero dell’Economia e delle Finanze (che si è dotato di un’ottima struttura econometrica) e, se possibile, da uno o due esperti esterni (anche non cittadini dell’Ue) di chiara fama. Non si avrebbe lo “stigma iniziale” e il giudizio sarebbe più ponderato.

L’immigrazione è il terzo tema dell’incontro. Temo che si resterà ancora una volta a monologhi alterni. Tanto le posizioni sono distinte e distanti.

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