Tra un paio di settimane circa il Governo sarà chiamato ad approvare il Documento di economia e finanza. Più che sulla stima della crescita del Pil di quest’anno, che secondo indiscrezioni riportate da Bloomberg potrebbe essere fissata all’1%, sopra lo 0,7% previsto dalla Commissione europea, il confronto tra Roma e Bruxelles, come ci spiega l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili, potrebbe farsi più accesso sul fronte del deficit. «Penso, come è stato fatto notare anche da altri osservatori, che la stesura di questo Def per il ministro dell’Economia Giorgetti sarà particolarmente complicata».
Perché?
Anzitutto, perché ci sono alcune spese indifferibili, come il rifinanziamento delle missioni internazionali, che generalmente aumentano di anno in anno. Ma il nodo più complicato riguarda la conferma per il 2025 del taglio del cuneo fiscale e delle aliquote Irpef, per la quale occorrono circa 15 miliardi di euro. A complicare ulteriormente il quadro della finanza pubblica c’èla promessa, che è stata recentemente ribadita dal viceministro Leo, di ridurre l’Irpef per il cosiddetto ceto medio, quindi i redditi fino a 50-55.000 euro l’anno. Il che ha un costo variabile, a seconda dell’intervento sull’aliquota e sugli scaglioni, ma comunque non indifferente.
Leo ha spiegato che la copertura per quest’ultimo intervento dovrebbe arrivare dalle entrate derivanti dal nuovo concordato preventivo.
Resta il fatto che nel complesso per questi interventi sul fisco occorrono almeno 20 miliardi di euro. E partendo da un deficit/Pil al 7,2% rispetto al 5,3% programmato, il compito per il Mef non è certo agevole. E poi c’è la grande incognita su quanto costerà ancora il Superbonus 110%, che ha appunto già determinato un disavanzo superiore alle attese.
Dunque, il punto caldo della trattativa con la Commissione europea sul Def riguarderà proprio il deficit/Pil.
Esattamente. Quel deficit/Pil al 7,2% rende quasi scontata una procedura d’infrazione, che però difficilmente verrà aperta prima delle elezioni europee. Tra l’altro bisognerà fare i conti con il nuovo Patto di stabilità, le cui regole sono farraginose nonostante la maggiore flessibilità concessa fino al 2026. L’applicazione di queste regole sarà tutt’altro che semplice: secondo alcuni, avremo più margini di manovra, ma c’è chi evidenzia che comunque bisognerà far scendere ancora il rapporto debito/Pil e, quindi, non ci sarà molto spazio. Di certo stiamo entrando in un’epoca diversa da quella della sospensione del Patto di stabilità e dei vari bonus che sono stati varati e concessi negli ultimi anni.
Ci sarà anche il passaggio da una vecchia a una nuova Commissione europea. Questo potrebbe portare a ulteriori fibrillazioni?
Sì, non si tratta di un passaggio banale. Potrebbe essere che venga confermata la von der Leyen, ma sarebbe una continuità che comporterebbe qualche mal di pancia in alcuni Paesi, come Francia e Germania. Diversamente, bisognerà vedere su quali equilibri politici si fonderà la nomina del nuovo Presidente, equilibri che dipenderanno inevitabilmente dai risultati delle elezioni. Sarà un momento complicato e questa fibrillazione politica diventerà anche fibrillazione sui mercati e i Paesi a più alto debito come il nostro potranno trovarsi in difficoltà.
Tutto questo potrebbe avvenire per via delle scelte sul fronte della riforma fiscale. A suo avviso sono interventi da varare?
Sì, anche perché non possiamo immaginare che superati i 35.000 euro di reddito lordo annuo si possa essere considerati “ricchi”. È giusto, quindi, agire sull’Irpef a favore del ceto medio, ma questo ha un costo, e va comunque rifinanziato anche l’intervento sui redditi medio-bassi.
Il Governo potrebbe inviare un segnale “distensivo” indicando già nel Def le coperture per questi interventi?
A parte le risorse derivanti dal concordato preventivo e dal contrasto all’evasione fiscale non ci sono molte opzioni: o si passa dalle dismissioni, che pure sono state prospettate con la Legge di bilancio 2024, ma sono complicate da farsi e richiedono tempo, oppure si deve intervenire sulle tax expenditures, ma già Governi precedenti che hanno espresso l’intenzione di farlo non sono riusciti ad andare oltre. Anche se sembra la via più semplice, visto il numero di voci e l’ammontare di risorse, quando si tratta di andare poi concretamente a incidere sulla carne viva degli interessi di alcune categorie l’operazione diventa molto complicata.
(Lorenzo Torrisi)
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