Al di là dell’agenda formale, il prossimo G20 di Roma si fa sotto l’ombra della Cina. L’attuale crisi energetica, gli aumenti dei prezzi delle materie prime, la bolla immobiliare sono tutti elementi che hanno una forte “componente cinese” e che possono far girare in mille sensi le tensioni dell’attuale ripresa. Essa è robusta ma ancora fragile e a macchia di leopardo nel mondo sviluppato.



Tale contesto condiziona le politiche ambientali, perché ancora non ci sono tecnologie mature per sostituire gli idrocarburi e per il futuro di medio-lungo termine bisognerebbe decidere presto in che direzione muoversi.

Nel brevissimo termine poi ci sono tensioni strategiche che arrivano da vari orizzonti ma che di nuovo si incentrano tutte sulla Cina. Ci sono le tensioni su Taiwan; c’è la rottura dei colloqui di confine tra Delhi e Pechino, mentre truppe e mezzi si ammassano sull’Himalaya, c’è il solito imprevedibile Kim Jong-un, ci sono manovre militari sempre più frequenti e ostili nel Mar Cinese meridionale.



Poi c’è la nuova alleanza militare tra Usa, Uk e Australia, Aukus, e il patto militare asiatico Usa, Giappone, India, Australia, il Quad. Entrambe le questioni cambiano i perimetri strategici, e quindi politici ed economici della regione e del mondo. Sono stati varati nei giorni scorsi e se ne parlerà direttamente o indirettamente a Roma.

Quindi l’appuntamento di Roma diventerà l’occasione per probabilmente due vertici chiave, di nuovo sulla Cina, tra Stati Uniti e India e Stati Uniti e Sud Corea. Il premier giapponese Kishida sarà assente perché occupato con le elezioni e il presidente cinese non verrà come prospettato da mesi.



Il problema dell’Italia è che, pur ospite dell’incontro, non avrà nulla di sostanziale da dire sulla Cina. Roma negli ultimi tre anni è riuscita nel compito quasi impossibile di avvelenare i rapporti transatlantici e con la Cina.

L’Italia viceversa si presenta al G20 con la prospettiva di firmare il Trattato del Quirinale che legherà di più Francia e Italia. Il patto comincia a stringere di più alcuni rapporti politici e di sicurezza nell’ambito della Ue.

Ma in questo momento non è chiaro cosa farà l’Italia sulla Cina, nell’ambito del patto con la Francia. L’Italia va a trattare insieme alla Francia con Usa e Germania sulla Cina? Oppure si muove da sola? Oppure fa finta che la Cina non esista?

Una probabilità è che la Francia usi il patto italiano per sostenere la candidatura dell’attuale presidente Macron alle elezioni di aprile, ma che anche usi il nuovo rapporto transalpino per baratti politici con l’America sulla Cina.

Non è un mistero infatti che al di là delle roventi polemiche sulla vendita di sottomarini nucleari all’Australia, la Francia ha già spostato buona parte della sua flotta nel Pacifico provando di voler essere parte del grande gioco che gli Usa stanno svolgendo intorno a Pechino.

A questo punto conviene all’Italia parlare con gli Usa di Cina direttamente, dopo avere messo in ordine la sua “partita cinese” all’interno? Oppure le conviene delegare la più grande questione politica attuale a Parigi?

La seconda sembra essere la mossa istintiva. Gli apparati italiani non appaiono preparati a sostenere il governo in questa vicenda, né oggi il governo sembra avere voglia o forza di affrontare una cosa che gli è lontana. Quindi la scelta è ragionevole.

Ma le biglie sul tavolo sono in movimento. Gli Usa potrebbero volere una maggiore determinazione italiana sulla Cina, al di là della Francia. Richieste simili potrebbero arrivare da Berlino.

Nel nuovo governo di coalizione tedesco il ministero degli Esteri dovrebbe andare ai Verdi, il partito più impegnato con Washington e ostile a Pechino. Dopo anni di rapporti idilliaci Berlino-Pechino potremmo essere all’anticamera di una svolta.

Tutti questi elementi di pura strategia possono avere un impatto immediato sull’economia e la ripresa. Maggiori o minori ordini di Pechino spingono in alto o in basso il prezzo dell’energia o delle materie prime; se la bolla immobiliare cinese ha uno scoppio maggiore del previsto e non è contenuta ciò potrebbe dare inizio a una crisi finanziaria globale.

Tutto questo dipende anche dalla pressione politica intorno alla Cina e nella Cina stessa, e da quello che a Washington decidono e pensano. Forse l’Italia non può permettersi di essere distratto spettatore di vicende che la coinvolgono immediatamente. Ma l’affanno delle cose interne, “sì vax-no vax” eccetera sembra travolgente.

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