Fa parte della “magia” del Natale la consapevolezza che in questa festa celebriamo il compleanno del Risorto. Commemoriamo cioè la nascita di un Vivente, non quella di un grande uomo del passato. Si tratta di quel Gesù che ha vinto la morte e si è reso a noi contemporaneo, un contemporaneo che ci provoca e interpella ancora oggi sul nostro destino e sul fine ultimo di tutte le cose.
È importante ricordarlo proprio perché, quest’anno, il Natale coincide con l’apertura dell’Anno Santo ovvero col “Giubileo della speranza”. Nella Bolla di indizione del Giubileo Papa Francesco ci ricorda che siamo pellegrini nella speranza e a questo ci esorta san Paolo: “‘Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera’ (Rm 12,12). Sì, abbiamo bisogno di ‘abbondare nella speranza’ (cfr. Rm 15,13). La speranza è quella che, per così dire, imprime l’orientamento, indica la direzione e la finalità dell’esistenza credente… Ma qual è il fondamento del nostro sperare? Per comprenderlo è bene soffermarci sulle ragioni della nostra speranza (cfr. 1Pt 3,15). ‘Credo la vita eterna’: così professa la nostra fede e la speranza cristiana trova in queste parole un cardine fondamentale. Essa, infatti, ‘è la virtù teologale per la quale desideriamo […] la vita eterna come nostra felicità’” (Spes non confundit, 18-19).
La festa di Natale si colora della luce di Pasqua, la tenera fragilità di quel bambino deposto in una mangiatoia è penetrata da una forza di vita in pienezza che non può restare prigioniera della morte (At 2, 24). Nel tenero bambinello di Betlemme si intravvede il “più forte” che ha vinto il male del mondo. Siamo autorizzati a sperare e quindi ad amare incondizionatamente, a servire e a donare gratuitamente, a desiderare la felicità piena.
Possiamo allora leggere questo Natale alla luce di tre segni caratteristici del Giubileo: la porta santa, il pellegrinaggio e l’indulgenza.
Il primo grande simbolo è quello della Porta, quella porta che è Cristo stesso: “Io sono la porta. Chi entrerà attraverso di me sarà salvo; entrerà ed uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9). Nell’umanità di Gesù che nasce a Betlemme ci è donata una porta di accesso alla pienezza della vita di Dio. Non si tratta solo di un luogo di transito, che permette di andare da una stanza all’altra, restando gli stessi. Si tratta di una soglia, attraverso la quale si passa da una condizione a un’altra, come nel passaggio dal sonno alla veglia, dalla malattia alla salute, dalla morte alla vita. Gesù è la soglia attraverso la quale abbiamo accesso a una nuova condizione di vita, che ridona significato alle nostre esperienze, rendendole promettenti. Anzi, Gesù ci offre una porta attraverso la quale veniamo trasformati di gloria in gloria a immagine del Figlio (2Cor 3,18).
Proprio la porta intesa come soglia di una trasformazione ci rimanda alla nostra condizione di pellegrini e quindi all’esperienza del pellegrinaggio. A differenza del vagabondo, che cammina senza meta e si ferma a frugare ai crocicchi delle strade per trovare qualcosa per saziare i suoi bisogni, e a differenza dell’esploratore, che viaggia cercando la scoperta che cambierà la sua vita, il pellegrino procede, sicuro ma tranquillo, verso una meta promettente e un fine prezioso, che orienta e dà senso al suo cammino. Ma nel pellegrinare sa anche sostare con altri pellegrini e si lascia provocare dagli incontri e dalle esperienze che capitano, proprio perché in ciascun incontro cerca un qualche indizio che richiami alla meta, un presentimento del fine verso cui cammina. Così che ogni incontro risveglia la speranza e l’ardore del cammino. Il Natale ci invita a non vivere la vita da turisti distratti, che vanno a caccia di cose belle e di emozioni per distrarsi e fuggire un po’ dalla vita reale. L’incarnazione del Figlio di Dio ci invita a stare presso le cose della nostra esistenza con serietà e rispetto, vivendo fino in fondo la nostra vocazione nel servizio e con generosità, in ogni circostanza.
Il terzo simbolo è quello dell’indulgenza. Si tratta di una dimensione della prassi penitenziale della Chiesa e del cammino di conversione e di lotta al male dei battezzati. Ma qui lo consideriamo come simbolo, legandolo alla bellissima immagine del tesoro di grazia della Chiesa, che sono i meriti di Cristo e dei santi. Gesù non ha vissuto per sé e non ha cercato il Regno di Dio per il suo bene personale. Ha vissuto ed è morto per noi. Allo stesso modo si può dire che i santi non sono diventati santi solo per se stessi, per assicurarsi il Paradiso. La loro santità, che è una grazia a cui hanno corrisposto, è un bene che riverbera su tutti, che diffonde positività nella Chiesa. C’è una forte solidarietà nel corpo di Cristo. Attraversare la porta santa, che è l’umanità glorificata di Gesù, significa entrare nell’abbraccio dei santi, amici speciali che pregano per noi e per noi fanno il tifo, perché possiamo con loro partecipare alla vittoria di Cristo sul male e sulla morte. Con una suggestiva e coraggiosa intuizione, Joseph Ratzinger scriveva in un famoso libro sulle “cose ultime”: “Vedi dunque bene che Abramo sta tuttora aspettando di ottenere la perfezione. Stanno aspettando pure Isacco e Giacobbe e tutti i Profeti, attendono noi, per ottenere insieme con coi la perfetta beatitudine. Per questo anche quel mistero del rinvio del giudizio all’ultimo giorno. È ‘un corpo’ infatti che attende la giustificazione, è ‘un corpo’ che risorge per il giudizio” (Escatologia. Morte e vita eterna, Cittadella, Assisi 2008, p. 186).
La comunione dei santi è attraversata da un desiderio profondo di salvezza per tutti. Si tratta di un desiderio di vita buona e quindi di pace, di serenità di cui dobbiamo appropriarci per diffonderlo tra tutti i popoli. In Gesù, che nasce tra noi, Dio ci comunica questo desiderio paterno che i figli “stiano bene e siano in pace”. È un desiderio che viene da lontano, dalla vita eterna di Dio e ci raggiunge come presentimento che anche noi siamo chiamati a partecipare di quell’eternità e pienezza di vita.
Alla luce di questi tre segni giubilari si comprende la grazia di questo Natale 2024 e l’augurio più consono che ne deriva: si tratta di scoprire come la presenza di questo Bambino che è nato per noi dona una qualità nuova al nostro tempo, un’intensità insospettabile all’istante. Così il nostro “oggi” si riempie di un’esperienza forte: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura per voi che mi ascoltate” (Lc 421, nella sinagoga di Nazaret); “Oggi la salvezza entrata in questa casa” (Lc 19,9, in casa di Zaccheo); “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,43, sulla croce). Con la nascita di Gesù accade qualcosa di nuovo, che inaugura un tempo di grazia speciale, che ci interpella e ci invita a ritrovare il gusto del destino a cui siamo chiamati. Il tempo si riempie del senso dell’eternità e acquista una profondità insospettata. In Gesù scopriamo che Dio, l’eterno, ha tempo per noi e si dà tempo per crescere e camminare con gli uomini e le donne di ogni luogo. Il nostro tempo ha radici nell’amore eterno di Dio, che lo feconda per generare un’umanità nuova.
Il compleanno del Risorto ci ricorda il nostro destino in Dio e ci fa abbondare nella speranza.
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