Con il nuovo aggiornamento trimestrale di Arera, l’Authority per l’energia, i costi dell’elettricità (+59% nel quarto trimestre) balzano al primo posto delle cronache e diventano la prima emergenza che il nuovo Governo dovrà affrontare. Giorgia Meloni sta studiando la Nadef e tentando di comporre la nuova squadra dei ministri, un lavoro di messa a punto che non consente alcun margine di errore. “Di fronte alla sfida epocale della crisi energetica serve una risposta immediata a livello europeo a tutela di imprese e famiglie” ha dichiarato ieri la leader di FdI. Per ora l’Europa non risponde, in compenso la Germania vara autonomamente un pacchetto da 200 miliardi di euro per limitare i costi delle bollette.



“Secondo me sarà la realtà a imporre uno strumento sovranazionale condiviso”, ci dice Mario Sechi, direttore dell’Agi in questa intervista. E il nuovo governo che Meloni ha in mente? “Può potenzialmente durare tutta la legislatura oppure cadere dopo sei mesi. Sono decisivi i primi cento giorni, e prima dei cento giorni è cruciale la formazione della squadra”.



Salvini e Meloni parlano di “collaborazione e unità di intenti”, ma qualcun altro titola il “ricatto di Salvini” citando l’ipotesi di appoggio esterno. Come stanno le cose?

Non credo affatto all’appoggio esterno e non credo neppure a un’ipotesi di rottura. Dobbiamo dare credito al comunicato congiunto. Poi, che vi sia il problema della composizione del governo è assolutamente normale.

Resta il tema della collocazione di Salvini nell’esecutivo.

Salvini ha dichiarato a lungo di volere gli Interni, ma a mio avviso il problema non si pone più: punterà su altro. La Meloni vuole al Viminale un profilo istituzionale, non un segretario di partito, e mi pare un orientamento condivisibile. Lo dicevo anche nel 2018, prima che Salvini andasse agli Interni.



La Stampa ha scritto che su Salvini al Viminale c’è il veto del Colle. Insomma, vedi alla voce “caso Savona”.

Il presidente della Repubblica esercita il suo potere di nomina come previsto dall’art. 92 della Costituzione. Né più né meno. È una sua prerogativa.

Restiamo agli Interni. Meglio un prefetto?

Va bene anche un politico, ma non un capo di partito. Basta riandare alla storia della Repubblica: Parri, De Gasperi, Scelba, Fanfani, Andreotti, Tambroni, Rumor, Taviani, Cossiga, Rognoni, Fanfani, Gava, Scotti, Mancino… al Viminale non c’è mai stato un solo segretario Dc. Ha funzioni delicatissime, serve un grande equilibrio, tatto istituzionale, visione e capacità decisionali di prim’ordine. E poi la storia insegna che concentrare troppo potere può smentire perfino il detto andreottiano che “il potere logora chi non ce l’ha”.

A chi pensa?

Quando Fanfani cumulò le cariche di guida del partito, presidente del Consiglio e l’interim del ministero degli Esteri, la Balena Bianca ne fece un sol boccone, il suo governo cadde e dovette lasciare anche la segreteria.

A chi tocca un dicastero così delicato?

Toccherebbe a chi ha vinto le elezioni, al partito più importante. Proprio come è stato per tutti quei ministri Dc.

Un altro problema è quello della presenza dei tecnici. Tajani: “Tecnici al governo, perché no?”

Tutti i governi di qualsiasi espressione politica hanno dei tecnici nella loro compagine. Ciò non esclude che possano, o meglio, debbano avere una sensibilità politica.

Si riferisce all’Economia?

Panetta sarebbe l’ideale: alto profilo tecnico e savoir faire politico. Vorrebbe guidare Bankitalia, dicono, non so se ci ripenserà. Sia chiaro, esistono anche altri ottimi candidati. Perfino Franco, che lo ha escluso.

Ma quale sarà il ruolo chiave all’interno dell’esecutivo, eccezion fatta per la premier?

Il sottosegretario – o la sottosegretaria – alla presidenza del Consiglio. È il baricentro di tutti i dossier. Penso che non debba essere un tecnico, un giurista, per capirci, ma un fine politico, che dichiara il meno possibile (zero) e se ne sta chiuso a Palazzo Chigi. Una figura tutta “casa e bottega”, che deve governare e lo deve fare con il massimo della fiducia da parte del premier, che sarà impegnato a fondo nella politica estera: Consigli europei, G7, G20, Nato e forum di cooperazione globale. Cioè la vera politica della contemporaneità.

Non sarà facile individuare questa figura. Perché un politico?

Non escludo una soluzione più “tecnica”, ma dovrebbe essere un politico perché il suo ruolo è (anche) quello dell’anello di congiunzione tra Parlamento e Governo. Non saprei dire chi può andarci, è una pedina che va a dama quando si ha un quadro completo dell’esecutivo. Penso che Meloni lo sceglierà tra i suoi più stretti collaboratori. Il nome è ancora ignoto, ma è chiaro cosa dovrà fare.

Si è parlato di un possibile spacchettamento del dicastero di via XX Settembre. Che ne pensa?

Tassazione e spesa, occorre prudenza. Separare significa rischiare un potenziale disaccordo tra Bilancio e Finanze, quando invece occorre fare l’opposto, evitare il più possibile la presenza di elementi conflittuali all’interno del Governo. Chi ha le entrate controlla anche le uscite. Mi pare che il problema in realtà sia quello di non cedere per inerzia ad altri soggetti – si pensi al ruolo che svolge l’Agenzia delle entrate – un potere normativo che di fatto sostituisce o vanifica quello del Governo e del Parlamento.

Intanto i vicepremier sembrano archiviati.

È un bene. Con Craxi al governo non poteva esserci il vice di Craxi, perché solo Craxi può fare Craxi, mi spiego? Il comando è uno, se il potere del premier viene anche solo virtualmente “diviso”, si stempera e diventa inefficace. Governa Meloni, questo è un elemento di chiarezza e deve restare tale.

Esiste una “rete di protezione” creata da Draghi per la Meloni? Sicuramente i due non si osteggiano. Oltretutto Chigi ha smentito Repubblica su un patto Draghi-Meloni. Ma è stato Draghi a dire “starà ai patti”.

Spesso i cronisti forzano – e spesso azzeccano la storia. Ma in questo caso no, non c’è una rete di protezione di Draghi per il prossimo governo Meloni, semmai questa rete è per il Paese. Draghi ha contenuto il deficit, ha fatto da scudo al debito italiano, è riuscito a non fare scostamenti e a liberare perfino 20 miliardi extra (10 nel 2022 e 10 nel 2023, ndr). Si chiama interesse nazionale, è per tutti.

Ma una riduzione del deficit in tempo di crisi alla fine porta ad aumentare sia la recessione che il deficit.

Non penso che ci sarà un ritorno all’austerità, né ora né dopo. Stare attenti al debito per l’Italia è necessario, sono 2.700 miliardi che ci mettono in prima fila tra le economie avanzate con più debito. Il problema è che ogni politica espansiva si scontra con l’inflazione, e combattere l’inflazione è l’obiettivo principale di Fed e Bce.

Il fatto è che la Fed combatte un’inflazione diversa dalla nostra. E può farlo sostenendo l’economia reale, a differenza della Bce.

Vero. Il rialzo dei tassi frena sempre l’economia e sono arrivati tutti in ritardo. Janet Yellen, segretaria del Tesoro, ex presidente della Fed, ha ammesso di non aver compreso cosa stava accadendo. La Bce è partita tentennando, Lagarde parlava di inflazione temporanea, ha completamente sbagliato scenario. E alla fine ha chiesto scusa. Troppo spesso gli economisti non eccellono nell’analisi geopolitica, diciamo pure nella lettura della storia. Avremmo bisogno di un Keynes, che oltre ad essere economista aveva una vastissima cultura. Ma di Keynes non ne abbiamo, mi pare.

Torniamo al Governo. Lega e Forza Italia, quindi, avranno un ruolo marginale?

Non userei la parola marginale: nei governi di coalizione non esistono ruoli marginali, i partiti sono tutti importanti, anche quelli più piccoli. Se ne sottovaluti il peso specifico, fallisci la missione. La Lega ha perso le elezioni, ma le ha anche vinte, perché come FI ha fatto vincere la coalizione. Parlerei di ruoli: a ognuno il suo.

Salvini ha quasi cento parlamentari.

Dipende dal fatto che la Meloni ha siglato un patto molto generoso con gli alleati, che oggi hanno ottenuto più parlamentari della loro consistenza elettorale. Salvini e Berlusconi lo sanno benissimo, per questo FdI avrà i ministeri principali.

A proposito di Berlusconi: che ruolo politico avrà? Sarà il garante della linea europeista del governo?

Gli “ismi” non mi piacciono, né pro Europa né contro. FI ha sempre avuto un ruolo importante a Bruxelles, ma i buoni rapporti con l’Europa li garantirà Meloni. Solo lei può farlo. Berlusconi è chiamato ad interpretare al meglio il ruolo centrista di Forza Italia.

È prematuro parlarne, ma il nuovo governo FdI-Lega-FI ha tutti i requisiti per funzionare?

Può potenzialmente durare tutta la legislatura oppure cadere dopo sei mesi. Sono decisivi i primi cento giorni, e prima dei cento giorni è cruciale la formazione della squadra. Partire bene è importante, aumenta la stabilità, è un fattore costruttore di fiducia. Il governo andrà avanti se esprimerà una visione lungimirante e un chiaro programma politico. Aggiungo un elemento trascurato da tutti, ma fondamentale nello scenario contemporaneo.

Quale?

La comunicazione. Un governo che racconta in maniera disunita quello che fa rischia di scomporsi molto presto, la confusione è sempre dietro l’angolo e si tende a sottovalutare che il “rumore” ministeriale è spesso un elemento di disturbo. Il premier parla agli italiani, i ministri lo devono accompagnare senza sovrapporsi. La comunicazione di Palazzo Chigi deve essere ben orchestrata, senza solisti che interpretano un altro spartito. È un altro ruolo chiave nell’esecutivo. Questa comunicazione ha tre direttrici: il cittadino, il sistema dei media italiani e la comunità internazionale che legge il Paese attraverso quello che raccontano i grandi news network internazionali.

Si sta affacciando il problema dei problemi: la gravità, finora taciuta, della situazione economica, con rincari stellari del prezzo dell’energia, aziende che chiudono e disoccupati in aumento. Cosa farà la Meloni?

Dovrà mettere mano al bilancio, come ha fatto Draghi fino ad oggi. Ma nessun intervento tampone sarà risolutivo. Serve un fondo di sostegno europeo: l’Europa non può sovvenzionare la trasformazione energetica senza aiutare i cittadini subito.

Davvero non dobbiamo avere dubbi sulla disponibilità di Bruxelles?

Secondo me sarà la realtà a imporre uno strumento sovranazionale condiviso. I dati Arera usciti oggi (ieri, ndr) sono tremendi: +59% di aumento dal 1° ottobre. La situazione diventerà insostenibile, non vedo altre strade ad un aiuto europeo, la parola “solidarietà” che diventa tangibile nelle politiche dell’Unione. Si parla di sovranismo, spesso a sproposito, e non si vedono i fatti che avanzano: la Germania che vara uno scudo da 200 miliardi per calmierare i prezzi dell’energia fa bene ai tedeschi, non ci sono dubbi, mi chiedo se sia questa la via da seguire, le corse solitarie senza un coordinamento finiscono per indebolire l’Unione.

Meloni ha chiesto “compattezza” ai partiti sul caro energia.

Ha fatto bene. Draghi ha invocato un’Europa “solidale” e – leggo la dichiarazione del premier – “non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali”. Le linee di frattura sono evidenti, senza coordinamento europeo alla fine ci sarà chi sfrutta il suo spazio fiscale – e la Germania lo ha – per innescare una divergenza economica e politica profonda in un’Europa che rischia di restare incastrata nella sfida tra gli Stati Uniti e la Cina, capofila di quel “resto del mondo” che insegue l’egemonia e un nuovo ordine globale. Siamo in una fase dove corre l’alta tensione, chi sbaglia viene fulminato.

Chi si intesta il ruolo di primo partito di opposizione? M5s o Pd?

L’opposizione vera la farà il Movimento 5 Stelle, perché non è mai cambiato: è un partito anti-sistema, tanto che non appena va al governo perde voti. E i voti che prende, li incamera promettendo un Paese sussidiato con i soldi pubblici. Non è quello che serve all’Italia.

Il rapporto con il Partito democratico?

Secondo me i 5 Stelle, per il motivo che ho detto, non sono coalizzabili.

Bisogna dirlo al Pd.

A volte gli istinti suicidi sono difficili da contenere.

(Federico Ferraù)

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