“In questo governo io ci metto la faccia. Voglio fare bene, il momento è importante, daremo il massimo dell’impegno”. Lo ha detto ieri Giorgia Meloni nell’esecutivo nazionale di FdI, che ha dato pieno mandato alla sua leader di lavorare alla squadra di governo. Un passaggio politico che ha rafforzato la Meloni nella trattativa con gli alleati, consentendole di chiarire la sua posizione sul tema spinoso della presenza dei tecnici nell’esecutivo. Da alcune dichiarazioni di ieri, la leader di FdI sembra avere adottato una linea pragmatica: servono politici che possano vantare competenze ed esperienza; altrimenti, meglio un tecnico.
Da FdI fanno anche filtrare che non ci sarebbero veti su Salvini all’Interno, ma il “caso Salvini” è stato ridimensionato proprio dalla Lega: il consiglio federale di martedì avrebbe infatti cambiato sensibilmente l’approccio alla partita dei ministeri.
Da giorni si parla di eventuali ministri tecnici. Ma secondo Stelio Mangiameli, ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Teramo, esperto di regionalismo e di diritto comunitario, serve un politico, soprattutto all’Economia.
Giorgia Meloni è in ritardo nella composizione della squadra di governo? O è un effetto della pressione mediatica?
In realtà non c’è alcun ritardo, perché ancora si deve tenere la prima riunione delle nuove Camere, si devono formare gli organi interni e i partiti devono compiere scelte preliminari come le presidenze di Camera e Senato. Solo successivamente la palla passa al presidente della Repubblica con consultazioni e incarico di formare il Governo. Tuttavia, questa percezione di ritardo sembra aleggiare nel dibattito pubblico per due ragioni.
L’ampio margine con cui FdI ha vinto le elezioni?
No, non c’entra nulla. La prima è che i problemi politici che incombono sono veramente eccezionali. Si pensi alla crisi energetica, con le bollette e le imprese che chiudono, alla pandemia non del tutto domata e al Pnrr che è in mezzo al guado, nonostante i soldi appena arrivati dall’Europa.
E la seconda?
Attiene alla discrezione con cui Draghi sta gestendo la cosiddetta “ordinaria amministrazione”. È come se non avessimo un governo e la Meloni stesse perdendo tempo con tanti preparativi.
Invece?
Ovviamente la Meloni non sta affatto perdendo tempo, sta cercando di risolvere più di un problema nella composizione della lista dei ministri e delle questioni da affrontare.
A proposito di gravità della situazione: la Meloni ha confermato a Zelensky il “pieno sostegno dell’Italia”. In tale rassicurazione c’è anche il consenso della leader FdI al quinto decreto armi all’Ucraina. Ma la Meloni non è neppure presidente del Consiglio incaricato.
È normale che faccia queste dichiarazioni, che sono perfettamente in linea con quanto ha detto e fatto dallo scoppio della guerra e con le dichiarazioni rilasciate durante la campagna elettorale. Non bisogna dimenticare che la Meloni, piaccia o meno, è il leader politico che ha vinto le elezioni: secondo le regole della forma di governo parlamentare ha più di un’aspettativa legittima di ricevere dal capo dello Stato l’incarico di formare il nuovo governo.
Si parla da giorni della presenza di tecnici nel prossimo esecutivo. Dibattito fondato o mal posto?
In via di principio questo dibattito mostra ancora la generale debolezza del sistema politico. Gli italiani hanno appena votato e hanno anche scelto con una certa chiarezza il loro indirizzo. Perché mai dovrebbero essere governati da tecnici, e per di più collocati in posti della massima responsabilità politica come il ministero dell’Economia?
Appunto, perché?
A me pare che si sia accorciata la fine del governo Draghi perché i partiti volevano tornare a decidere a pieno titolo e ora che sono rientrati nel livello decisionale è come se volessero uscirne. Tutto ciò può nascondere una incapacità di comandare dei politici, anche se al momento la si maschera con la prudenza nel governare; ma governare, ricordiamolo, significa proprio comandare, e cioè decidere la direzione dello Stato.
Il Mef è una casella che scotta. Si dà quasi per scontato che solo un tecnico, ovviamente di “alto profilo”, possa e debba guidare l’Economia, quasi come “garante”. Non le pare singolare?
La riforma Ciampi della fusione di Tesoro e Finanze in un solo dicastero ha avuto più conseguenze gravi, perché ha creato una posizione di governo che praticamente è spesso più importante dello stesso presidente del Consiglio. Il governo parlamentare si basa sul principio della parità sostanziale dei ministri con portafoglio, cioè con capacità diretta di spesa, e con solo il presidente del Consiglio in una posizione di primazia. Quella riforma invece ha sbilanciato la parità dei ministri, comportando una forte e diversa centralizzazione dentro il governo.
Vada avanti.
Essendo stato un ex governatore della Banca centrale a perorare questo cambiamento, si è creata la vulgata che dei tecnici di alto profilo sarebbero più adatti a ricoprire quel ruolo, ma questo è un errore della politica italiana.
In che senso?
Perché il governo dovrebbe avere bisogno di garanti? Non basta il voto dei cittadini? E poi, garanti verso chi? Verso i mercati? Verso l’Europa? È la politica di governo che deve garantire tutti, perché questa implica vera responsabilità. Un tecnico per definizione non può essere responsabile, se non di una cosa: che non si prendano decisioni politiche. Ma questo non mi pare che sia una “garanzia”.
Qualcuno osserva che ogni tecnico, nel momento in cui decide, fa scelte politiche. Non basta questo a risolvere il problema?
No, non è lo stesso, perché certamente ogni decisione è politica, ma non sarebbe una politica votata dagli elettori come non lo sarebbe il tecnico che ha compiuto la decisione. Gli elettori votano persone, programmi e leadership e i tecnici non sono inclusi.
(Federico Ferraù)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI