Del Mes, Meccanismo europeo di stabilità o Fondo salva-Stati, si è detto apparentemente tutto e di tutto. Negli ultimi giorni si è assistito a un florilegio di proposte su come utilizzarlo: da ente che assorba i titoli di Stato detenuti dalla Bce a “volano per gli investimenti”, fino a fondo di supporto per l’emissione di eurobond. Ipotesi interessanti, anche “un po’ fantasiose”, ma politicamente irrealistiche, afferma Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano.
La Meloni pare voler andare diritta verso la ratifica perché rimarremmo soli in Europa, o “perché bloccheremmo anche gli altri”. A fronte di questa confusione converrebbe piuttosto rileggersi il trattato riformato, che attribuisce al Meccanismo una prerogativa apparentemente “innocente” sulla quale è stato detto poco o nulla.
Partiamo dal comunicato di palazzo Chigi. È un obiettivo realistico “verificare, con gli altri Stati aderenti al Mes, possibili correttivi volti a rendere il Mes uno strumento effettivamente capace di rispondere alle esigenze delle diverse economie”?
Mi sembra più una formula diplomatica che altro.
Questo ci porta al tema della riforma. Non del trattato riformato, di cui si attende la ratifica; intendo una riforma che, come è stato suggerito, restituisca il Mes alla sua vocazione europea, come ha proposto Tremonti sul Sole 24 Ore. Che ne pensa?
È sensato come discorso, ma è un’idea che ha più di dieci anni. Degli eurobond, come della vecchia proposta Juncker-Tremonti, la Commissione ha fatto giustizia ai tempi della crisi greca. E non ha mai cambiato idea, invocando il divieto di mutualizzazione dei debiti pubblici.
Ma il Pnrr del 2020 non è andato di fatto in questa direzione?
Sì, facendo pure parlare qualche sprovveduto di “momento Hamilton” dell’Europa. Ma è solo uno dei tanti giochi delle tre carte su cui si regge – e a fatica – la sgangherata costruzione europea dai tempi della Grecia ad oggi. Chi si oppone alla mutualizzazione ha dalla sua la lettera dell’art 125 Tfue, che è la chiave di volta del patto di Maastricht, oltre alla ferrea resistenza di Germania e satelliti.
Va detto che la proposta tremontiana non è l’unica.
Lo so. E non è la peggiore. Altri nel tempo hanno parlato di convertire il Mes in una specie di “fondo sovrano” europeo, sul modello degli Stati petroliferi del Golfo o della Norvegia. Altri ancora, come Giavazzi, hanno rispolverato qualche giorno fa l’idea del Mes come agenzia del debito che dovrebbe servire a sterilizzare i titoli di Stato acquistati dalla Bce durante la pandemia. Giorgetti, da ultimo, ha parlato di “volano” per gli investimenti. Di per sé, in astratto, sono tutte idee sensate, anche se un po’ fantasiose.
Fantasiose?
Sì. Ma si sa che l’Europa delle interviste è il regno del possibile. La questione di fondo è un’altra.
Quale sarebbe?
La praticabilità politica di tali proposte. E cioè, in poche parole, la convenienza per i singoli Stati di cominciare a pensare ai soldi parcheggiati nel Mes come a una risorsa per fare qualcos’altro, oltre che per pagare gli stipendi di chi lavora al Fondo cosiddetto salva-Stati. Ma questo vorrebbe dire che in Europa si dovrebbe pensare in termini di politiche continentali di sviluppo e di investimento, come si poteva fare negli anni 50.
Eppure, la Commissione le sta tentando tutte per fare la transizione ecologica e raggiungere l’autonomia energetica europea.
Varando politiche depressive costruite sull’ideologia green, tipo il bando all’automotive, o il divieto di commercializzazione degli immobili in base alla classe energetica?
È questo che vede?
Ma è evidente. Purtroppo lo scenario europeo è quello della repressione dell’economia, in una prospettiva di decrescita infelice che si realizzerà tanto più velocemente quanto più procederà l’Agenda 2030. Che è la riedizione dei vecchi piani quinquennali dell’Urss. Se poi considera che queste politiche vengono comunque perseguite in una fase di alta inflazione destinata a durare negli anni, abbiamo la misura di quanto siano ideologizzate le élites europee quando devono ragionare a medio-lungo termine.
Si spieghi meglio.
Le sembra serio un continente che, in una fase di inflazione media attorno al 10%, e con una guerra alle porte, si occupa di sostegno alle politiche green, di gender, decarbonizzazione, farina di grilli, sostenibilità delle vacche olandesi e Stato di diritto in Polonia e Ungheria? Non sanno controllare l’inflazione e vuole che pensino allo sviluppo industriale o al fondo sovrano? Le dichiarazioni stralunate della Schnabel di qualche giorno fa dicono molto dei discorsi che si fanno a Bruxelles e del clima che vi si respira. La verità è che la Bce ha fallito totalmente nell’unico compito che le era stato affidato, che era poi il controllo dell’inflazione. In cambio si è data un nuovo obiettivo, fuori dai trattati europei, che è l’economia green. Ma comunque non bisogna dirne male, perché compera il nostro debito pubblico. Questa è la situazione.
Torniamo al Mes. Il 22 dicembre a Porta a Porta la Meloni ha detto che “se rimaniamo gli unici che non approvano la riforma blocchiamo anche gli altri” e che “ne discuterà eventualmente il parlamento”. Come commenta queste dichiarazioni?
Restando fermi, cioè non ratificando, bloccheremmo soltanto l’entrata in vigore della riforma, non il funzionamento del Mes. Il trattato Mes è in vigore nella sua versione originaria dal 2012, ed è perfettamente operativo oggi come qualche settimana fa, quando si parlava del Mes sanitario 15 giorni prima che il “pacchetto” sanitario del Mes scadesse (31 dicembre 2022, ndr). Per il diritto dei trattati è solo normale che una riforma adottata a livello intergovernativo passi nei parlamenti nazionali per la ratifica di quanto fatto dai rappresentanti del Governo. Se a questo aggiunge che quella vicenda è stata seguita prima da Tria, con la polemica che c’era stata sul rispetto delle indicazioni fornite dal Governo al ministro dell’Economia, e poi da Gualtieri, capisce che dire di voler rinviare la questione al Parlamento è il minimo sindacale. Su questo andrebbe aggiunta una cosa.
Prego.
Il punto è che la legge Moavero (234/2012), che imporrebbe ai ministri di seguire gli indirizzi parlamentari in punto di accordi europei in materia finanziaria, è una foglia di fico, visto che l’unica sanzione è la sfiducia ex post al singolo ministro. Se poi tiene conto che l’art. 34 del trattato Mes impone al ministro dell’Economia un obbligo di riservatezza verso i parlamenti nazionali, lei capisce che rinviare il tutto al dibattito parlamentare è la cosa più sensata. Dopodiché in Parlamento si vedrà chi voterà cosa, e con quali argomenti.
Ipotizziamo di ratificare il trattato. Abbiamo però al governo qualcuno che giura “col sangue” – come ha detto la Meloni – di non fare ricorso al Mes.
Lei conosce un altro Paese con un debito pubblico sopra il 150%, che non ha margini di bilancio, e che deve rinnovare 450 mld di titoli di Stato per l’anno in corso nel contesto che le ho descritto prima? Piaccia o non piaccia, questa è l’eredità del Governo Draghi. Il risultato è che chi è venuto dopo si trova esposto alla tempesta perfetta.
Allora giurare di non fare ricorso al Mes sono parole, nella migliore delle ipotesi, senza senso.
Se i candidati a ricorrere al Mes siamo noi, è chiaro che ratificando la riforma si rende tutto più facile, vista l’accelerazione delle procedure di ristrutturazione del debito che si vuole introdurre. Glielo dimostra il fatto che del Mes in questi termini si parli solo in Italia e non, ad esempio, in Francia o Spagna, che pure messe troppo bene non sono. Se ne parla in Italia perché, a meno di qualche crisi improvvisa del settore bancario, i bersagli dell’“aiuto” del Mes siamo noi. Anche perché, a parte i discorsi da anime belle, nel caso di una crisi bancaria di normale entità i soldi del Mes sarebbero insufficienti. Per cui si torna al punto di partenza.
Questo ci introduce, mi pare, a quello che di fatto nessuno ha messo in rilievo finora, e che lei ha richiamato nella nostra ultima intervista spiegando le novità del Mes riformato, tra le quali c’è “il monitoraggio, in teoria ad uso interno, della situazione di finanza pubblica dei singoli Stati, indipendentemente dalle richieste di sostegno”. Di che cosa stiamo parlando esattamente?
Del fatto che la riforma prevede l’attribuzione al Mes (art. 3) di una funzione di monitoraggio dell’andamento dei conti pubblici ulteriore rispetto a quella già prevista in capo alla Commissione. È da tempo che in ambienti europei si lamenta l’eccessiva “politicità” della Commissione: da qui le pretese di trasformare l’European Fiscal Board (o Comitato consultivo europeo per le finanze pubbliche, ndr) in una specie di autorità “non politica”, che si aggiunga alla Commissione e ne “controlli” l’attività.
Quindi?
Visto che questa ipotesi è tramontata, questo obiettivo si raggiunge ora con il Mes. È un punto che è sfuggito a molti e su cui si è molto poco insistito, ma che è molto rilevante. Questa funzione di monitoraggio è stata presentata come un’attività preventiva, ad uso interno, finalizzata a mettere il Mes nelle condizioni di rispondere in caso di richiesta di supporto finanziario.
Che cosa dice il testo?
“Se necessario per prepararsi internamente a poter svolgere adeguatamente e con tempestività i compiti attribuitigli dal presente trattato, il Mes può seguire e valutare la situazione macroeconomica e finanziaria dei suoi membri, compresa la sostenibilità del debito pubblico, e analizzare le informazioni e i dati pertinenti. A tal fine il direttore generale collabora con la Commissione europea e la Bce per assicurare totale coerenza con il quadro di coordinamento delle politiche economiche stabilito dal Tfue”.
In pratica cosa fa l’articolo 3 del trattato riformato?
Trasforma il Mes in un’agenzia di rating sui conti pubblici statali, con tutti i rischi che ne vengono. È stupefacente che si sia adottato un testo del genere da parte dei rappresentanti italiani. Lei ricorda le polemiche di dieci anni fa, ai tempi della Grecia, sullo strapotere delle agenzie di rating e sul loro ruolo poco trasparente nell’orientamento dei mercati? Ecco, l’art. 3 istituirebbe finalmente l’agenzia di rating europea dei debiti sovrani, e questa sarebbe il Mes. Però ad “uso interno”. Non so se ci rendiamo conto.
Perché preoccuparci, se il monitoraggio avverrebbe ad uso interno?
Le dice nulla il fatto che già in questi giorni siamo stati inondati da interventi di “funzionari” del Mes che commentano la questione della ratifica? Per non parlare delle visite di direttore e segretario generale nei giorni scorsi. Il protagonismo del Mes è preoccupante. Lei capisce che la raccolta e l’eventuale diffusione di informazioni del genere è una questione delicatissima. E se questo aggiunge che dal 2012 tutti funzionari, i locali, gli archivi e i documenti del Mes sono coperti da immunità diplomatica (art. 32), appare evidente, come diciamo da anni, che il Mes è una banca con le prerogative degli Stati sovrani.
Questo lo abbiamo già spiegato, ma è meglio ripeterlo.
In pratica i funzionari del Mes non possono commettere reati perché non possono essere né perseguiti, né indagati da alcuna giurisdizione degli Stati aderenti al trattato. È un potere impressionante, limitato solo da procedure di auditing interno.
Applichiamo il funzionamento del monitoraggio all’esempio classico: mutuante, mutuo e mutuatario. Cosa succederebbe sulla base di quello che ha detto?
Diciamo che una banca alla quale non ho intenzione di chiedere un mutuo ha il potere di venire a raccogliere dati e informarsi sui conti di casa mia per valutare – naturalmente “ad uso interno” – il mio merito di credito. Il tutto nella prospettiva di intervenire in mio “aiuto” nel caso si spargesse la voce per cui, essendo io in difficoltà, le altre banche non mi volessero più prestare soldi. Se lei considera che, in più, i funzionari di questa banca si trovano in una condizione di immunità assoluta, lei capisce che la cosa può essere un tantino incauta.
Cosa deve fare secondo lei il Governo?
Non è in una posizione facile. Il Governo Draghi non ha lasciato alcun margine di bilancio; non ha approfittato dei bassi tassi di interesse; ha lasciato in sospeso buona parte dei dossier del Pnrr, nonostante i pubblici elogi di chi vedeva in Draghi una specie di Cromwell redivivo che commissariava lo Stato per il bene del Commonwealth. E cioè praticamente tutti. E badi che costoro sono gli stessi che adesso provano da un mese a trasformare la Meloni nella Regina Elisabetta. La verità è che, da un punto di vista logico, ratificare il trattato e chiedere soldi al Mes, con la rovina che ne seguirebbe, sono due cose distinte.
Dunque anche lei concorda su questo.
Certo. Resta il fatto che è un sentiero molto stretto quello di chi, al momento di chiudere una riforma, propone di firmare prima, e riformare la riforma poi. Il punto è che, se non lo si fosse capito, il Mes è una banca che, dal 2014, ha un solo cliente potenziale, e questo cliente è l’Italia.
Cosa pensa del partito trasversale, politico e mediatico, pro Mes?
Ratificare il trattato aprirebbe la porta, anche quella del governo, a tutti coloro che sostengono che i soldi del Mes – come è stato per il Mes sanitario – sarebbero soldi regalati. Con quel che ne verrebbe: il lascito di Draghi non è casuale. Detto questo… lei darebbe il suo merito di credito ad una banca che non opera dal 2014? Che comincerebbe a lavorare solo se lei fallisse? E che ha tutte le informazioni per farla fallire perché gliele ha date lei?
Cosa ci dice, sotto il profilo prettamente politico, la necessità di un tale “Meccanismo” – il Mes appunto – a proposto della situazione complessiva nella quale si trova oggi l’Unione Europea e l’eurozona?
Sarebbe un discorso troppo lungo. Mettiamola così: L’eurozona è quel che succede quando fai scrivere le Costituzioni agli economisti. Ma bisogna essere onesti ed ammettere che non è un caso che questo sia successo. Comunque, chissà a che versione del trattato Mes dovrà aderire la Croazia.
In che senso?
Nel senso che la Croazia è entrata nell’eurozona e però sembra che non abbia ancora fatto accesso al trattato. Questo è un problema in più.
(Federico Ferraù)
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