Anche l’Ufficio parlamentare di bilancio ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita del Pil per il 2022, portandole dal 2,9% formulato ad aprile al 3,2%. Ma, come già avevano fatto Commissione europea e Fondo monetario internazionale, contemporaneamente ha tagliato le stime per il 2023 dal 2,1% allo 0,9%. «Il dato positivo sul secondo trimestre comunicato la scorsa settimana dall’Istat – ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano – riporta sostanzialmente il Pil ai livelli pre-Covid. E le previsioni per il 2023, ormai tutte inferiori all’1%, di fatto corrispondono a quelle che venivano formulate prima della pandemia, sono espressione del potenziale del Paese». 



Può spiegare meglio cosa intende dire? 

Che il nostro potenziale si è ridimensionato nell’ultimo decennio, il Paese si è “ristretto”, quindi possiamo sì crescere, ma a tassi bassi. Per intenderci, possiamo arrivare alla crescita anemica del recente passato. Del resto i livelli di risalita degli ultimi due anni non sarebbero compatibili con i fondamentali economici e politici attuale. In questo senso c’è da augurarsi che l’anno prossimo si possa avere una stabilità che consenta l’attuazione del Pnrr.



C’è da dire che si prevede una crescita ridotta nonostante la messa a terra del Pnrr, forse anche per via anche del contesto internazionale, della crisi energetica, dell’inflazione, ecc. Secondo lei, a questo punto il Pnrr andrebbe rivisto?

Probabilmente in alcuni punti sì, anche perché alcune criticità del Paese sono più urgenti di altre. Di certo avremo una situazione in cui dovremo cercare di usare al meglio le risorse garantite dall’Europa, e credo che la formula migliore per farlo sia promuovere investimenti pubblici e privati, perché significano occupazione e reddito.



A proposito di occupazione, anche in questo caso gli ultimi dati dell’Istat sono stati positivi…

Se per potenziale del Paese intendiamo, come è giusto, anche quello legato alle risorse e alle capacità umane, e di conseguenza al numero di persone in età di lavoro, allora occorre dire che questa grandezza è entrata in una fase di declino. Soprattutto perché non vediamo crescere la fascia dei 25-34enni strategica per la crescita del Paese. Siamo quindi in una situazione in cui i dati sull’occupazione migliorano anche perché il serbatoio di potenziali lavoratori da cui attingere si sta restringendo. È come se fossimo passati da un’auto di grande cilindrata a una di cilindrata inferiore.

Questo limita la possibilità di crescita economica?

Come dicevo poc’anzi, questo declino fa diminuire il potenziale del Paese, ma non è detto che non possa crescere se possono essere finanziate, per esempio, grandi opere di riconversione energetica, che possono dare i loro frutti magari l’anno successivo, ma che sono indispensabili per cercare di ritornare, per usare la metafora di prima, a una cilindrata maggiore. 

Prima, però, ci sarà da affrontare una parte finale dell’anno piuttosto critica.

I timori per l’inverno si sono a mio parere già riflessi nella sensibile diminuzione degli indici di fiducia di famiglie e imprese relativi al mese di luglio. In particolare, il “clima futuro” dei consumatori è passato da 98,8 a 92,9: mi sarei aspettato di meglio. Chiunque vincerà le elezioni di fine settembre avrà quindi molto da lavorare, perché le criticità da affrontare non sono semplici e in più all’interno dell’Europa il nostro principale partner, la Germania, è in forte affanno e questo crea qualche problema anche a noi.

Guardando sempre all’Europa, lei pensa che la Bce, con le sue manovre di politica monetaria, possa provocare una recessione o quanto meno favorire un rallentamento dell’economia?

La Bce di fatto va a rimorchio della Fed. Tuttavia, la situazione europea è diversa da quella degli Stati Uniti, quindi suggerirei all’Eurotower di muoversi con grande cautela, perché c’è il pericolo che gli spread si allarghino più del necessario e questo potrebbe togliere risorse al bilancio pubblico, alla spesa sociale, proprio quando c’è bisogno di promuovere politiche che siano attente alla parte più vulnerabile del Paese, che sono anzitutto le persone meno abbienti. Inoltre, come ho detto prima, credo che la fascia dei 25-34enni sia molto importante per lo sviluppo del Paese e la Bce può fare qualcosa per favorirla.

Che cosa potrebbe fare?

Per esempio, potrebbe sostenere una politica di mutui agevolati per l’acquisto di abitazioni da parte dei cittadini europei in questa fascia d’età. Questa misura potrebbe essere integrata da una politica fiscale nazionale che valorizzi questa generazione, aiutando così a trasmettere un segnale positivo ai mercati sulla volontà di crescere in modo sano. Del resto lo spread del nostro Paese si amplia non appena sperperiamo la nostra credibilità. Un investimento sul futuro, sulla crescita potrebbe invece rafforzarla.

(Lorenzo Torrisi)

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